Qualche anno fa non avremmo mai immaginato che Abel Ferrara avrebbe trovato la pacificazione ai suoi tormenti in Italia. Eppure il regista maledetto ha deciso di porre un oceano di distanza tra lui e la sua infernale New York trasferendosi a Roma. A 64 anni Abel ha una nuova giovane moglie, una figlia di appena due mesi di nome Anna, ha accantonato l'ossessione per il peccato e la redenzione cattolici approdando a un più ecumentico buddismo e si è liberato delle dipendenze che lo hanno accompagnato per una vita. Tra un cambio di pannolini e l'altro, oggi Ferrara studia l'italiano mentre tiene d'occhio le nuove tecnologie e i metodi di finanziamento alternativi. La sua principale passione, al momento, sembra essere l'acqua frizzante che beve in grande quantità, rigorosamente dalla bottiglia, dopo essere approdato al Valdarno Cinema Fedic - festival toscano di tradizione trentennale - per ritirare il Premio Marzocco alla carriera.
Carriera che, negli ultimi tempi, oltre a un interesse sempre più rilevante nei confronti del documentario, lo ha visto impegnato a coltivare la sua passione per l'Italia culminata nella regia del controverso Pasolini. "La gente si stupisce del fatto che io abbia realizzato un film su Pasolini e non mi spiego il perché. Lui è uno dei miei maestri. Dal primo momento in cui ho visto i suoi film ne sono stato attratto. Avevo vent'anni e studiavo cinema a New York quando ho visto Il decameron. Era così potente che ancora adesso ricordo la sensazione che mi lasciò. Dalla visione de Il decameron a quando Pasolini è morto, nel 1975, ho studiato la sua opera, ho letto le sue poesie. Pasolini ha impersonificato tutto ciò che un artista dovrebbe essere: era un cineasta, uno scrittore, ma anche una persona completa, un attivista politico, un intellettuale. Col mio film volevo renderlo umano, riportalo in vita. E' un dono da un'altra dimensione".
Abel alla ricerca della verità artistica
L'impronta di un realismo sfrontato e provocatorio segna la produzione più recente di Abel Ferrara, caratterizzata dalla realizzazione dei documentari Chelsea on the Rocks, Napoli Napoli Napoli, Mulberry St e da una tensione biografica che, prima di Pasolini, ha spinto il regista a firmare l'oscuro Welcome to New York, ispirato alla figura di Dominique Strauss-Kahn. Riflettendo sulle differenze tra narrazione documentaria e fiction, il regista ammette di non trovare una reale discrepanza. "Per me un documentario è una sorta di documento ufficiale, ma non c'è separazione tra documentario e fiction. I film su Strauss-Kahn e Pasolini vanno in questa direzione. Alla base di entrambi i lavori c'è una ricerca storica. Ho concentrato le mie indagini su un periodo di tempo ben preciso, ma non fa differenza se mi occupo della New York del 2013 o della Roma del 1975. Il difficile è arrivare alla verità e questa esiste nel momento in cui accendi la macchina da presa e riprendi gli attori in scena. Quando filmi un attore stai riprendendo la persona o il personaggio? Questa è la stessa differenza che intercorre tra documentario e film". Abel Ferrara concepisce la sua produzione come un unico fluire e ce lo conferma sottolineando il concetto alla base della sua poetica: "Tutte le mie opere formano un unico film. E' un percorso continuo alla ricerca della verità. Per Pasolini, io e Willem Dafoe siamo andati nella location precisa in cui lui è stato ucciso, ho fatto indossare a Willem i suoi stessi abiti. Anche in Chelsea on the Rocks ho usato delle sequenze ricostruite perché conta solo ciò che accade davanti alla macchina da presa".
Mille volti per un'unica anima
Willem Dafoe, mimetico Pasolini, ma anche alter ego di Ferrara comparso in tante sue opere. Un sodalizio che dura da decenni, ma che, a differenza di quanto si crede, ha avuto una genesi tormentata. "All'inizio io e Willem non andavamo d'accordo. Anche se siamo quasi coetanei io provenivo da New York, mentre lui si era trasferito nella Grande Mela dal Wisconsin, un mondo molto chiuso. All'inizio non eravamo in sintonia, ma poi qualcosa è cambiato. Oggi, come me, anche Willem vive a Roma. Lavoriamo talmente bene insieme che Willem è nell'opera prima della sceneggiatura". Tra i numerosi interpreti che hanno costellato il suo cinema, Ferrara ricorda anche Dennis Hopper, "persona eccezionale e attore brillante", Depardieu, a cui ha affidato il ruolo del 'sociopatico' Dominque Strauss-Kahn, "ma credetemi che Gerard ha interpretato anche di peggio", e riflette anche sugli interpreti italiani, da Rossano Brazzi ad Asia Argento, da Ninetto Davoli a Riccardo Scamarcio, con cui ha collaborato. "La nazionalità degli attori non conta, per me non c'è differenza tra lavorare con artisti italiani o stranieri. Tendo a non giudicare gli attori, ma solo la perfomance che mi offrono. Il regista ha bisogno dell'attore. I sogni e le speranze di un film si riflettono nell'attore, che deve personificare l'idea del film, ma deve essere anche parte del gruppo". Che cosa significa allora essere un attore nei film di Abel Ferrara? "Deve essere onesto e credere nel progetto, ma soprattutto deve avere affinità con me".
Oltre la censura
Oggi che si è convinto a lasciare il suo paese natale in cerca di nuove opportunità lavorative, Abel Ferrara ribadisce che l'ingrediente essenziale per produrre arte è la libertà totale. Riflettendo sui cambiamenti dettati dalla diffusione di nuove tecnologie di ripresa, il regista si chiede: "Il telefonino e il digitale hanno rivoluzionato il cinema? Oggi a noi sembra scontato riprendere con un telefono, ma fino a pochi anni fa non era possibile. Oggi non c'è più la mediazione dell'attrezzatura, è stato risolto il problema economico, ma questo non significa che tutti siano in grado di produrre arte. Ci sono tanti altri vincoli da abbattere. Un regista deve essere libero al 100%, la creatività è andare contro ogni cosa. Io sono buddista e nella meditazione di base concentri la riflessione sul tuo maestro, ti ispiri a lui quasi impersonificandolo. Questo concetto sta alla base del film su Pasolini. Volevo rappresentare l'artista e le sue difficoltà così ho aperto il film con i riferimenti a Salò o le 120 giornate di Sodoma. E' ridicolo censurare un'opera che era l'ultimo angolo di paradiso. Bernardo Bertolucci mi ha raccontato che dopo Ultimo tango a Parigi volevano togliergli il diritto di voto e se Marlon Brando fosse venuto in Italia l'avrebbero arrestato. Volevano addirittura bruciare il negativo. Il compito dell'artista è fornire il proprio punto di vista su un frammento di mondo. Non si possono togliere loro i diritti per questo". La libertà creativa perseguita da Abel Ferrara in tutta la sua carriera lo ha condotto a preparare un nuovo lungometraggio che presentato al mercato di Cannes il 13 maggio. Prima della conferenza ufficiale, il regista ci fornisce un'anticipazione esclusiva: "Adesso sto scrivendo col mio collaboratore abituale, lo psichiatra Christ Zoist, un nuovo film intitolato Siberia. Si aprirà proprio con una seduta terapeutica e vedrà ancora protagonista Willem Dafoe. La storia è basata sul Libro Rosso di Jung e Willem sta facendo un percorso opposto a quello con Pasolini, visto che sta cercando di trarre il personaggio fuori dal suo inconscio. Ma la novità principale, che annuncerò a Cannes, riguarda il metodo di finanziamento. I fondi per Siberia verranno chiesti attraverso Kickstarter"_. I fan di Abel Ferrara sono chiamati a metter mano al portafoglio.