Recensione Tre sorelle (2012)

Due anni dopo il suo The Ditch, Wang Bing torna al Lido con Three Sisters: un documentario che mostra il volto meno noto della Cina, quello delle comunità montane più povere, attraverso il racconto della vita di tre ragazzine.

Abbandono e dignità

Cina, tra i monti dello Yunnan. In un remoto villaggio di contadini vivono Ying, Zhen e Fen, tre sorelle rispettivamente di 10, 6 e 4 anni. La madre delle tre ragazzine ha lasciato la famiglia molti anni fa, e il padre è andato a lavorare in città; così, le tre sorelle vivono da sole, con Ying che ha il compito di occuparsi delle due sorelle più piccole e di badare al lavoro nei campi. Le tre bambine non vanno a scuola e vivono in una situazione di assoluta miseria, in una casa costruita con muri di terra cruda e dal tetto di paglia, sempre umida e in condizioni igieniche precarie; gli unici loro contatti sono quelli, saltuari, con il nonno, la zia e la giovane cugina, che le tre ragazzine a volte aiutano nel loro lavoro in cambio di un pasto. Quando il padre torna dalla città, decidendo di portare con sé le due sorelle più piccole, e di iscriverle alla scuola elementare poco distante, Ying resta sola; ma la sua abitudine al lavoro e alla dura vita nei campi riesce a farle sopportare anche la nuova situazione di solitudine.

Wang Bing, tra i più noti documentaristi del cinema cinese, torna con questo Three Sisters alla Mostra del Cinema di Venezia (nella sezione Orizzonti) due anni dopo il suo lungometraggio di fiction The Ditch; lo fa con un un'opera dura, che vuole mostrare senza mediazioni quella Cina che non è sotto i riflettori, quella dimenticata dalle autorità e dai media occidentali, che contrasta in modo stridente col volto industrializzato e dal vorticoso sviluppo che caratterizza le aree urbane del paese. Lo spettatore a digiuno di nozioni sulla storia e sulle attuali condizioni (e contraddizioni) del colosso cinese può restare shockato di fronte a un documentario come quello di Wang; la vita delle tre ragazzine, ripresa dal regista nel suo svolgersi, in modo diretto e senza mediazioni, è esemplificativa di una situazione sociale difficile da concepire per chi sia nato e cresciuto nella modernità, e talmente stridente con l'immagine della Cina che, nel corso dell'ultimo decennio, siamo stati abituati a interiorizzare, da risultare addirittura straniante. Vediamo scorrere l'esistenza di Yin, Zhen e Fen nella sconcertante realtà sociale in cui sono immerse, tra miseria e abbandono, in uno stato che quasi le accosta alla vita animale; ma che mantiene tuttavia una dignità che le immagini restituiscono in modo chiaro e preciso.
Wang ha seguito la vita delle tre sorelle (e delle persone con cui di volta in volta sono entrate in contatto) nel corso di sei mesi, mantenendo sempre la discrezione del documentarista, con un frequente uso della macchina fissa e limitando al minimo gli interventi di regia; alla luce del risultato, e della forza con cui il suo documentario restituisce la concreta realtà in cui vivono le tre protagoniste, la sua scelta si è rivelata vincente. Una presenza più pesante delle marche di enunciazione cinematografica avrebbe probabilmente limitato l'immediatezza e l'impatto di una realtà che è, in sé, autoesplicativa; la vita delle tre ragazzine è talmente caratterizzata, informata in ogni aspetto dalla necessità e dalla quotidiana lotta per la sopravvivenza, che la chiave migliore per rappresentarla è semplicemente quella del racconto diretto, del documento, dell'osservazione puntuale ma distaccata. La scelta del regista non impedisce, tuttavia, ai caratteri delle tre ragazzine (e degli altri personaggi) di venir fuori in modo chiaro: la consistente durata del film (153 minuti) e soprattutto la scelta dei momenti da raccontare, con i rituali minuti della vita quotidiana e i momenti più intimi dell'interazione tra le protagoniste, restituiscono un quadro preciso di una realtà umana e sociale che viene colta nei suoi molteplici aspetti.
Non ha velleità di documento etnografico, Three Sisters, concentrato com'è sul particolare, sul microcosmo della casa delle tre ragazzine e sui suoi immediati dintorni, con uno sguardo che raramente si allarga a comprendere la comunità nel suo complesso; tuttavia, l'aspetto politico è sempre presente, non solo quando viene esplicitamente richiamato (con la riunione dei capi di villaggio) ma nelle stesse scelte di racconto, che sottolineano con insistenza le conseguenze di un abbandono e di un volontario oblio, da parte delle autorità, di quello che è un vero e proprio dramma umano. La chiusura, con la sottolineatura di una mancanza finora taciuta (quella della madre) aggiunge un tocco malinconico, e squisitamente cinematografico, a un documentario caratterizzato da uno spietato realismo; la componente psicologica si fonde infine, con efficacia, con quella del resoconto sociale. Il risultato, per chi avrà avuto la costanza (e la forza) di seguirlo fino in fondo, è qualcosa il cui valore va oltre il puro prodotto cinematografico.

Movieplayer.it

4.0/5