A Skin So Soft: bodybuilding, che passione!

Il documentario non si limita a raccontare il lavoro dei culturisti sul proprio fisico, ma si espande fino a diventare riflessione sul corpo, su qualsiasi tipo di corpo, corpi atletici, corpi bellissimi, corpi limitati nel loro movimento o sacrificati da infermità

Due sono le anime del regista Denis Côté. Quella più fictional, che ama confezionare racconti incentrati su personaggi al limite dell'improbabile, situazioni ondivaghe e surreali, il tutto cosparso da una buona dose di humor, e quella documentaristica. L'ironia della sorte è che i film fictional di Cote rincorrono visioni pseudo realistiche, mentre nei documentari il regista si diverte a intervenire pesantemente sulla realtà plasmandola per i suoi scopi. Il risultato è una cinematografia fluida, in costante dialogo, una commistione di tecniche e linguaggi che rende la sua produzione artistica unica. Negli ultimi anni il canadese Cote ha preso l'abitudine di alternare film di finzione, produzioni più ricche con attori di livello e budget più che discreti, a documentari girati in pochi giorni con troupe leggere e pochissimi soldi. A quest'ultima categoria appartiene A Skin So Soft, viaggio nell'universo dei bodybuilder canadesi. Il progetto nasce da una relazione d'amicizia stretta da Cote con Benoit Lapierre, uno dei culturisti presenti nel film, ma ben presto si amplia fino a seguire da vicino un team di culturisti che si preparano ad affrontare un concorso.

A Skin So Soft: una scena del film
A Skin So Soft: una scena del film

Come si articola la giornata di un culturista? Ma all'insegna dell'allenamento! Denis Cote mostra i suoi palestrati in situazione quotidiane, alle prese con famiglie e affetti, ma a differenza dei comuni mortali una buona fetta di ore viene dedicata alla cura del corpo. I culturisti usano gli attrezzi posizionati nelle loro case o in palestra per allenarsi duramente. E' un tripudio di bilancieri, panche inclinate, pesi trasportati da una parte all'altra della stanza. Nell'intervallo tra un esercizio e l'altro gli atleti si dedicano ad aumentare la massa muscolare attraverso una dieta iperproteica e, a giudicare dalle loro espressioni, tutt'altro che saporita. Naturalmente non mancano sedute di massaggi, depilazioni estreme e chi più ne ha più ne metta. Tutto per forgiare un fisico da manuale (di bodybuilding).

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La fascinazione per il corpo e la pelle

A Skin So Soft: una scena del film
A Skin So Soft: una scena del film

Come da tradizione, anche in A Skin So Soft l'uso dei dialoghi è ridotto al minimo. Denis Cote costruisce la sua sinfonia visiva di corpi in movimento attraverso dettagli ravvicinati di muscoli che guizzano, vene in rilievo su una pelle incredibilmente liscia, dettagli di bicipiti, tricipiti e polpacci d'acciaio. Il regista dimostra tutta la fascinazione per un mondo che gli è sconosciuto, ma da cui, al tempo stesso, è incuriosito e attratto. Il suo è uno sguardo benevolo sull'ossessione per la forma fisica, avulso da ogni tipo di critica. Cote è ben consapevole della deriva di certi eccessi e dei pericoli per la salute dei culturisti, ma questi aspetti restano sullo sfondo, parte di un sottotesto silente che pare non interessargli più di tanto. Gli stessi siparietti ironici costruiti ad hoc, come il palestrato Ronald Yang intento a trovare un modo creativo per farsi i selfie in garage o le scaramucce tra fidanzati dovute allo scarso impegno nell'attività fisica di lei, sono il prodotto di uno sguardo bonario, che sorride dell'ossessione per la forma fisica preferendo la comprensione alla condanna.

A Skin So Soft: una scena del film
A Skin So Soft: una scena del film

Non privo di vibrazioni omoerotiche, il documentario penetra nell'intimità dei bodybuilders raccontando sforzi e sacrifici di una vita all'insegna del potenziamento muscolare. Questi uomini massicci passano il tempo seminudi pompando muscoli e sollevando pesi per poi rimirarsi allo specchio per verificare i miglioramenti. Alcuni di loro hanno compagne che condividono la stessa passione, così comportamenti tradizionalmente attribuiti a maschi e femmine si mescolano là dove le donne sollevano pesanti bilancieri mentre uomini possenti come l'impressionante Jean-François Bouchard se ne vanno in giro unti d'olio in slip striminziti o si sottopongono a sedute di depilazione lunghe e dolorose. Affascinato dai loro sforzi e dalla loro passione, Denis Cote dipinge un microcosmo fatto di regole proprie, rigide e ossessive - non si bara con i muscoli, solo il duro allenamento e un regime alimentare rigoroso possono donare ai culturisti il corpo che sognano - ma non approfondisce la dimensione sportiva, preferendo concentrarsi sugli aspetti umani, sulla forza di volontà, sulla fatica che si fa routine. Alla competizione sono riservate poche fuggevoli sequenze visto che il focus del film è tutt'altro.

La solitudine del culturista

A Skin So Soft: una scena del film
A Skin So Soft: una scena del film

Vanità e quotidianità. L'interesse di A Skin So Soft non sta nel mostrare il risultato degli sforzi dei culturisti, quanto nel raccontarne il processo. Rendere questi ragazzoni più umani significa mostrarceli mentre camminano per la strada, tengono in braccio i loro figli o piangono al computer ingozzandosi di proteine. Persone comuni che hanno plasmato il loro corpo in una macchina, trasformando i loro arti in protesi avulse da loro, aliene alla visione per forma e dimensioni, ma che al tempo stesso sono ancora loro parte integrante. A Skin So Soft non si limita a raccontare il lavoro dei culturisti sul proprio fisico, ma si espande fino a diventare riflessione sul corpo, su qualsiasi tipo di corpo, corpi atletici, corpi bellissimi, corpi limitati nel loro movimento o sacrificati da infermità. Lo stesso Cote, che ultimamente ha sentito il bisogno di raccontare la malattia che lo affligge da dieci anni, ha scelto di trasformare un documentario su un tema specifico in una riflessione universale e poetica.

Nella sua esplorazione dell'universo del bodybuilding, Denis Cote non si accontenta di dipingere questa realtà filtrata da uno sguardo artistico con tono lirico. Il regista decide di concludere il documentario con una trovata personale. Dopo aver evidenziato la natura solitaria del culturismo e l'individualismo estremo che ne caratterizza gli atleti, Cote rovescia felicemente questo assunto creando l'occasione per riunire il gruppo di bodybuilders in una sorta di gita fuori porta in cui li mette in condizione di essere liberi da ogni pressione. Il tutto in un luogo dell'anima, quella campagna che nel cinema di Cote solitamente nasconde minacce e misteri, ma che per una volta si trasforma in location solare e rilassante. Ma solo fino alla prossima competizione.

Movieplayer.it

4.0/5