"Ma non capisci proprio niente, Osgood! Sono un uomo!" "Be', nessuno è perfetto."
Nella folgorante semplicità di questo explicit, uno scambio di battute tra i più famosi mai pronunciati sul grande schermo, è possibile rintracciare un frammento della genialità di Billy Wilder: un regista che ha saputo rinnovare le convenzioni della Hollywood classica in maniera sottile ma innegabile, cimentandosi con una varietà di generi (il comico e il dramma, il sentimentale e il noir, la spy story e il giallo) per infondervi di volta in volta un senso di modernità e di trasgressione assolutamente in anticipo sui tempi. E nel campo della commedia brillante, A qualcuno piace caldo costituisce l'apice della produzione wilderiana: un film che ha stabilito un vero e proprio paradigma, e la cui popolarità risulta inossidabile perfino a sessant'anni esatti dal suo debutto nelle sale americane, il 29 marzo 1959.
La commedia 'en travesti' di Billy Wilder
I ruggenti anni Venti, e in particolare il famigerato episodio del massacro di San Valentino, un regolamento di conti fra bande di malavitosi consumato nel 1929, offrono la cornice per una storia in cui Billy Wilder fonde le atmosfere dei gangster movie e la vivacità irrefrenabile tipica del suo stile. Scritto in coppia con il fedele I.A.L. Diamond come una sorta di remake di un film francese del 1935, Su con la vita!, A qualcuno piace caldo vede protagonisti en travesti Jack Lemmon e Tony Curtis nei ruoli di Jerry e Joe, due musicisti squattrinati che si ritrovano loro malgrado nel bersaglio della criminalità organizzata in quanto testimoni della strage di San Valentino. Per sfuggire ai killer, pertanto, Jerry e Joe ricorrono alla più fantasiosa delle soluzioni: unirsi a un complesso di sole donne con le fittizie identità - e le sembianze femminili - di Daphne e Josephine.
Grazie a un meccanismo comico formidabile e all'alchimia fra Lemmon, Curtis e una comprimaria di lusso quale Marilyn Monroe, già diretta da Wilder quattro anni prima in Quando la moglie è in vacanza, A qualcuno piace caldo si rivela il maggiore successo di pubblico nell'intera carriera del regista austriaco. Qualche mese più tardi viene proiettato in concorso alla Mostra di Venezia e in seguito sarà ricompensato con l'Oscar per i migliori costumi (su sei nomination) e tre Golden Globe, come miglior commedia e per le performance di Lemmon e della Monroe. Nel 2000, inoltre, la pellicola di Wilder è stata votata come il film più divertente di tutti i tempi nella classifica dell'American Film Institute: una delle testimonianze del valore di un'opera che, dietro un'irresistibile 'leggerezza', racchiude numerosi ingredienti chiave del cinema di Wilder e della sua poetica, mutuata in parte da quella del maestro Ernst Lubitsch.
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L'arte dell'inganno e il palcoscenico della realtà
Il travestimento, ovvero la forzata metamorfosi di Jerry e Joe in Daphne e Josephine, non è soltanto l'espediente narrativo al cuore della trama, ma un leitmotiv che percorre un ampio settore della filmografia di Billy Wilder: per molti personaggi del regista l'inganno e la maschera diventano un modus vivendi, strumento di sopravvivenza o veicolo per raggiungere i propri obiettivi. Un tema che compare già nell'esordio hollywoodiano di Wilder, lo splendido Frutto proibito del 1942, in cui la trentenne Ginger Rogers si spacciava per una dodicenne semplicemente per non pagare il biglietto del treno (ma andando a solleticare il tabù dell'attrazione per le minorenni). Non si tratta però della prima 'bugiarda' disegnata da Wilder, che nel 1939 firmava per Mitchell Leisen il capolavoro La signora di mezzanotte, con Claudette Colbert nella parte di una showgirl disposta a spacciarsi per la fantomatica Madame Czerny al fine di introdursi nei salotti dell'alta società.
Gli eroi ed antieroi di Wilder sono quasi sempre 'attori' e non esitano a ricorrere alle menzogne e alla finzione, che sia per vocazione o per necessità: la dark lady Barbara Stanwyck de La fiamma del peccato e quella di Marlene Dietrich in Testimone d'accusa, lo scaltro dirigente della Coca-Cola James Cagney in Uno, due, tre! e la falsa coppia formata da Ray Walston e Kim Novak in Baciami, stupido. Senza dimenticare l'altra commedia che, insieme ad A qualcuno piace caldo, segna l'apoteosi del travestimento e delle identità fittizie, ovvero Irma la dolce del 1963, dove è ancora una volta Jack Lemmon a inscenare una 'recita' per amore della graziosa prostituta interpretata da Shirley MacLaine.
Bugiardi per gioco o per necessità?
Nel classico del 1959, la messinscena a cui Jerry e Joe sono costretti dalle circostanze susciterà in loro un inaspettato attaccamento alla loro nuova 'identità', con conseguenze emblematiche per entrambi. Il Joe di Tony Curtis, innamorato della Sugar Kane di Marilyn Monroe, sposterà infatti la finzione su un piano ulteriore, indossando una seconda maschera: quella dell'impettito magnate Shell Oil Junior, in grado di attirare immediatamente l'attenzione di Sugar, della quale Wilder sottolinea con malizia l'interesse opportunistico da tipica arrampicatrice sociale... per quanto la Monroe riesca con efficacia a stemperare il lato materialista del proprio personaggio in virtù di una tenerezza e di un'ingenuità disarmanti. Più ambigua è la situazione del Jerry di Jack Lemmon, che sperimenta con irritazione gli inconvenienti dell'appartenenza al gentil sesso (i corteggiatori sgraditi che allungano le mani in ascensore) salvo poi immedesimarsi con paradossale ostinazione nel ruolo di Daphne di fronte alla prospettiva di sposare un milionario.
Nella sua monografia dedicata al regista, Leonardo Gandini rileva: "Nelle storie scritte da Wilder esiste un punto preciso in cui le dinamiche del travestimento non obbediscono più a un principio di dovere ma di piacere, in cui la necessità lascia il posto al gioco. È qui che il protagonista si trova di fronte a un bivio: abbandonare la messinscena e salvarsi, o proseguirla, e perdersi definitivamente nei meandri della finzione". È questo secondo destino ad accomunare la Norma Desmond di Gloria Swanson in Viale del tramonto e i due musicisti di A qualcuno piace caldo, per i quali il 'gioco' avrà il sopravvento sulla realtà. Perché in fondo, Jerry e Joe rientrano a pieno titolo nella galleria di adorabili imbroglioni di cui è popolata la filmografia wilderiana: un cinema imperniato sull'arte della menzogna e sulla doppiezza come caratteristica primaria dell'individuo.
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Marilyn Monroe: quel radioso oggetto del desiderio
Se il travestimento, tòpos della comicità fin dal teatro antico, è il mezzo attraverso cui Wilder e Diamond portano avanti la catena di disavventure e di equivoci di cui si compone l'intreccio, la forza motrice da cui tutti i personaggi saranno travolti e indirizzati verso nuove direzioni è, ovviamente, l'eros. La pulsione sessuale e il sentimento amoroso, che in Wilder spesso procedono a braccetto, sono le variabili impazzite pronte a scombinare l'equazione elaborata dai protagonisti: e quale miglior incarnazione della sessualità di una prorompente Marilyn Monroe, che diretta da Wilder ha dato vita a due fra i suoi tre ruoli più iconici di sempre (la palma spetta però, e non potrebbe essere altrimenti, a Gli uomini preferiscono le bionde)?
Dall'istante della sua comparsa alla stazione ferroviaria di Chicago, Sugar Kane altererà drasticamente gli equilibri nel rapporto fra Jerry e Joe e, seppure senza esserne cosciente, li spingerà a portare agli estremi la loro recita. La bionda suonatrice di ukulele non possiede la profondità né la complessità delle grandi donne al centro di altri film di Wilder, ma in questo caso è giusto così: Sugar, come l'Angelica dell'Orlando furioso, è la personificazione del desiderio, e di conseguenza la nemesi di ogni pretesa di ordine e di razionalità. Quella razionalità condannata a soccombere al cospetto dei nostri istinti naturali, della contraddittorietà delle emozioni e degli scherzi beffardi del caso... come Wilder ci ha sempre ricordato, pur con un sorriso (anzi, un ghigno) sulle labbra.