A League of Their Own, la recensione: lo sport come forma di attivismo

La recensione di A League of Their Own, serie remake del film Ragazze vincenti: 30 anni dopo ma problemi ancora attuali. Su Prime Video.

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A League of their Own: una scena della serie

"Non si piange nel baseball!" diceva Tom Hanks nel ruolo dell'allenatore James Dugan in Ragazze vincenti, film di Penny Marshall che quest'anno ha compiuto 30 anni. Cast stellare, con protagoniste Geena Davis, Madonna, Bill Pullman e Rosie O'Donnell, il film è diventato un cult, una di quelle pellicole per cui, ogni volta che passano in tv, non si riesce a cambiare canale. La storia è ispirata a quella della All-American Girls Professional Baseball League, campionato femminile di baseball inaugurato nel 1943 per mancanza di giocatori uomini, impegnati al fronte. Nonostante la Seconda Guerra Mondiale, gli Americani non hanno rinunciato allo sport che più li rappresenta, facendo giocare le donne. Quel film ha ora una seconda vita grazie alla tv: scopriamo quale nella recensione di A League of Their Own, serie in otto episodi che torna sul diamante.

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A League of their Own: una scena della serie

Disponibile su Prime Video dal 12 agosto, A League of Their Own è creata da Will Graham e Abbi Jacobson, che interpreta anche la protagonista, Carson Shaw, ricevitore delle Rockford Peaches. La donna è sposata, il marito è in guerra, ma in realtà ha scoperto di vivere meglio senza di lui. Sì perché, grazie anche alla frequentazione con le compagne di squadra, ha capito che a lei in realtà piacciono le donne.

L'altra storia che fa da colonna portante della serie A League of Their Own è quella di Max (Chanté Adams), che sogna di essere una giocatrice di baseball professionista da sempre, ma, proprio quando finalmente essere donna non è più un problema, se ne presenta un altro ancora più difficile da superare: il colore della sua pelle. Max e nera e anche solo convincere l'allenatore a farle un provino sembra un'impresa disperata. Sono passati 30 anni dal film di Penny Marshall, molto è per fortuna cambiato dal 1943, ma alcuni problemi sociali sono ancora purtroppo estremamente attuali.

Lo sport femminile come forma di attivismo

Nel '900 le donne sono riuscite a diventare medici, avvocati, ingegneri, guadagnandosi riconoscimenti e rispetto. Sono anche diventate atlete professioniste, registrando record mondiali, vincendo medaglie olimpiche. Serena e Venus Williams sono diventate delle divinità. Quando si tratta però di sport di squadra, che prevedono contratti televisivi e sponsor, il discorso cambia. In Italia poi è un massacro: il calcio femminile è spesso ridicolizzato, additato come non spettacolare, poco competitivo, inguardabile. Contro le donne negli sport di squadra c'è ancora un atteggiamento quasi di "invasione di campo", per usare un termine sportivo.

E magari è anche vero, non tutte le giocatrici sono all'altezza dei colleghi uomini, il loro gioco è meno spettacolare, ma semplicemente perché non c'è una cultura altrettanto forte per quanto riguarda gli sport di squadra femminili. Le donne li praticano da meno tempo, sono meno incoraggiate a farlo, sono quindi poche a provarci e quando riescono sono pagate molto meno. C'è ancora molto da lavorare: con più soldi e attenzione il gap potrebbe essere sicuramente, almeno in parte, risanato.

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A League of their Own: una scena della serie

Ecco perché una serie come A League of Their Own è quasi una forma mascherata di attivismo: dietro l'intrattenimento c'è anche un messaggio preciso. Le donne sono in grado di fare tutto, esattamente come gli uomini, basta dar loro la possibilità. Ed è proprio ciò che si vede in questi otto episodi: le ragazze protagoniste ci credono davvero, non si fermano davanti a nulla e alla fine riescono davvero a mettere su una squadra, anche grazie a un allenatore caduto in disgrazia, Casey "Dove" Porter, interpretato da Nick Offerman, che, nonostante lo scetticismo iniziale, alla fine ci crede pure lui.

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Dagli anni '40 al 2022 i problemi non cambiano

Oltre a usare lo sport come metafora della società, A League of Their Own mostra, anche grazie a un buon cast, formato da attrici non famose ma tutte perfette per i loro personaggi, come molti problemi presenti negli anni '40 purtroppo siano ancora attuali. Dicevamo che la protagonista scopre di amare le donne: l'omosessualità nello sport è ancora un tabù e la serie ne parla in modo molto onesto e sincero. Così come il razzismo: ancora oggi atleti di tutto il mondo a volte devono sentire intere curve di uno stadio insultarli facendo riferimento al colore della loro pelle.

C'è anche la questione dell'aspetto: in uno dei primi episodi i proprietari della squadra insistono per avere delle giocatrici che rispecchino l'ideale della perfetta ragazza americana. E qual è questo ideale? Bianca, magra, di bell'aspetto. Sicuramente si sono fatti grandi passi avanti da allora, anche perché la società americana in particolare è diventata sempre più multietnica e variegata in questo 80 anni, ma queste questioni sono tutt'altro che superate.

A League of Their Own in otto episodi riesce a essere divertente, ad approfondire i propri personaggi e intrattenere. Magari non è il titolo dell'anno e non può contare su nomi forti come Madonna o Tom Hanks, ma scorre in modo piacevole.

Conclusioni

Come scritto nella recensione di A League of Their Own, la serie, remake del film Ragazze vincenti, scorre in modo piacevole, approfondendo temi e personaggi. Oltre al tema delle donne nello sport, ci sono quelli del razzismo, e dell'omosessualità che è ancora un tabù negli spogliatoi delle squadre. Il cast, anche se formato da attrici non famose, è perfetto.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.9/5

Perché ci piace

  • Il cast, formato da attrici non famose ma perfette per i loro personaggi.
  • Il tono leggero, che rende la serie scorrevole in modo piacevole.
  • Nick Offerman nel ruolo del coach.

Cosa non va

  • Otto episodi sono forse troppi.
  • Non è la serie dell'anno e potreste scartarla vedendola in catalogo, ma è perfetta per passare delle serate piacevoli.