Ci è mancata Kathryn Bigelow. A otto anni di distanza da Detroit la volitiva regista è tornata alla grande con la complicità di Netflix e dello sceneggiatore Noah Oppenheim. Presentato in concorso a Venezia, A House of Dynamite è un thriller politico dal ritmo incalzante che mostra la reazione della Casa Bianca a un attacco nucleare contro gli USA da parte di un non meglio precisato paese straniero. Ma perché Kathryn Bigelow ha atteso così a lungo prima di tornare dietro la macchina da presa?

"Per fare un film devo appassionarmi a un soggetto, devo essere totalmente coinvolta nella storia" spiega lei. "Oggi nove paesi sulla terra hanno il nucleare e la capacità di distruggere il mondo. La situazione è instabile e noi abbiamo costruito questo armamentario che potrebbe distruggere tutto. è un miracolo che non sia già successo. Credo che sia importante avviare una riflessione, soprattutto adesso che stiamo vivendo in una casa di dinamite".
Nei corridoi del potere: uno stile registico potente e realistico
A House of Dynamite nasce, dunque, dalla necessità di conoscere i meccanismi interni di una situazione limite che purtroppo, coi conflitti internazionali attualmente in corso, non appartiene più solo all'ambito della fantascienza. Ecco che Kathryn Bigelow adotta uno stile realistico, quasi documentaristico per raccontare questa storia in tempo reale, conducendo lo spettatore nel cuore dell'azione
"Ho avuto la fortuna di lavorare con Barry Ackroyd, il miglior direttore della fotografia, che mi ha aiutato a far sembrare la storia più realistica possibile. Barry viene dal documentario, senza di lui, probabilmente, non avrei fatto il film" rivela la regista, che dà il merito alla sua equipe dell'impatto visivo della pellicola che analizziamo nella nostra recensione di A House of Dynamite. Anche la scenografia e gli ambienti sono stati ricostruiti in modo straordinario fin nei minimi dettagli. "Oltre allo script, ci serviva un ambiente in cui gli attori potessero calarsi in questo tipo di situazione. E poi c'è stato un attento lavoro di montaggio per creare la simultaneità, passando da un ambiente all'altro. Sono fortunata a poter avere collaboratori come questi".

L'importanza di un cinema impegnato sul fronte del reale
A House of Dynamite porta idealmente a conclusione la trilogia sulla politica USA di Kathryn Bigelow inaugurata da The Hurt Locker e proseguita con Zero Dark Thirty. Film molto diversi, ma uniti da uno scopo comune: "perseguire l'autenticità. Voglio raccontare storie che riproducano la realtà soffermandomi su momenti storici opachi. Ad anni di distanza dal crollo delle Torri Gemelle tante famiglie delle vittime mi hanno confessato di non aver avuto più notizie su quanto accaduto dopo la catastrofe terroristica, nello stesso modo non si conosce molto sulle politiche nucleari. Molti eventi accadono all'insaputa delle persone. Volevo concentrarmi su coloro che operano nell'ombra circondati dal segreto. Abbiamo bisogno di essere più informati sul nucleare per perseguire la non proliferazione e scongiurare una nuova catastrofe".

Nel film gli USA contattano le potenze nemiche, come Russia e Cina, ma non vengono mostrati contatti con gli alleati europei o col Canada. "La sceneggiatura è frutto di discussioni collettive, ma l'approccio del film è quello di un'America isolata, costretta a decidere da sola. Non ci interessava focalizzarci sulla diplomazia, volevamo raccontare la responsabilità di un Presidente costretto a prendere una decisione difficilissima", conclude la regista.