A Chiara, recensione: le colpe del padre e della figlia

La recensione di A Chiara, terzo lungometraggio di Jonas Carpignano, presentato a Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs.

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A Chiara: una sequenza del film

Con la recensione di A Chiara festeggiamo il nuovo trionfo cannense di Jonas Carpignano, per la terza volta sulla Croisette - e seconda alla Quinzaine des Réalisateurs - con un suo lungometraggio. Un ritorno in terra francese accolto trionfalmente, poiché per la seconda volta consecutiva il cineasta italiano nato a New York ha vinto il premio Europa Cinemas Label, principale riconoscimento della Quinzaine che dà al film insignito di tale qualifica la giusta visibilità nel circuito delle sale d'essai sul territorio europeo, a sostegno della produzione di qualità a livello continentale. Una bella vittoria per un film che, come segnalato anche dalla Quinzaine sul proprio sito, è la fine di un'era, per certi versi, in quanto chiusura di una trilogia libera ambientata nella zona calabrese di Gioia Tauro. Chiusura che è anche un'apertura verso qualcosa di nuovo, poiché pur essendo riconoscibilmente parte della poetica di Carpignano contiene delle piccole ma significative deviazioni rispetto a quanto visto prima.

Figlia devota

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A Chiara: un'immagine

Come da titolo, A Chiara è la storia di un'adolescente, per l'esattezza una quindicenne che vive con la famiglia, senza troppi problemi nel quotidiano. Tutti si riuniscono per i diciotto anni della sorella maggiore, organizzando una festa sfarzosa, e il giorno dopo il padre di Chiara, Claudio, sparisce senza lasciare traccia. La ragazza, scontrosa, decide di trovarlo per conto proprio, pur essendo stata messa in guardia da tutti circa la verità sul motivo per cui lui se ne sarebbe andato (è legato alle attività della criminalità organizzata locale). E così comincia a prendere forma il destino di Chiara, disposta a tutto pur di non stare lontana dal genitore. Anche a contemplare l'opzione di una vita lontana da tutto e tutti, all'insegna della disonestà e della latitanza, laddove il resto della famiglia vorrebbe assicurarle un futuro più promettente, privo di pericoli.

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Nuova prospettiva

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A Chiara: una scena

Siamo sempre dalle parti di Gioia Tauro, sotto un sole rovente che dà al film quell'aria riconoscibile ascrivibile al cinema di Jonas Carpignano, ma con ogni capitolo della trilogia è stato esplorato un aspetto diverso della zona: Mediterranea la rappresentava attraverso gli occhi di due fratelli giunti dal Burkina Faso, mentre A Ciambra, che vinse il premio Europa Cinemas Label nel 2017 e fu scelto per rappresentare l'Italia nella corsa agli Oscar, con tanto di patronato di Martin Scorsese, raccontava una storia di gioventù all'interno della comunità rom locale. Qui, al di là della componente puramente italiana, si passa da due storie al maschile a una che mette al centro una figura femminile, interrogandosi in modo intrigante sulla nozione del patriarcato in ambito criminale: da un lato, Chiara non vuole essere separata dal padre, indicando anche un minimo livello di sottomissione, ma dall'altro è lei stessa a insistere sul volere entrare a far parte di quella seconda famiglia, opponendosi alla volontà di tutti coloro che la circondano, incluso il genitore, scrivendosi da sola il proprio destino laddove altri vorrebbero dettarglielo in un modo o nell'altro.

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A Chiara: una scena del film

È una storia di libertà e costrizioni, di innocenza e crudeltà, raccontata con il medesimo slancio dei due film precedenti ma con una nota malinconica in più che rende chiara la volontà di lasciarsi alle spalle quella parte dell'Italia e dirigersi altrove in futuro, coerentemente con la maturazione di un cineasta che ha esplorato diversi lati di uno stesso gruppo di location per affinare la propria tecnica e qui ha raggiunto un punto di non ritorno (in senso positivo) in termini di potenziale narrativo della regione. C'è un minimo di nostalgia, ma anche il desiderio forte di spostarsi e di aprire un nuovo capitolo all'interno del libro del destino. E in tal senso è involontariamente emblematico l'inizio del film, dove i personaggi ballano sulle note del Tuca tuca di Raffaella Carrà, scomparsa pochi giorni prima del debutto del film a Cannes. I tempi sono cambiati, per Chiara e per Carpignano, e se il destino di una sarà presumibilmente limitato a questo lungometraggio, quello del suo creatore si presenta come uno dei più interessanti nel panorama dei nuovi talenti cinematografici nostrani.

Conclusioni

Chiudiamo la recensione di A Chiara, opera terza di Jonas Carpignano e capitolo finale della trilogia di Gioia Tauro sottolineando come si tratti di un'opera vitale, allegra e al contempo malinconica, che continua in ottica di storie di gioventù ma adotta in questa sede un forte punto di vista femminile.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • Il cambio di prospettiva rispetto ai due film precedenti di Carpignano è interessante.
  • Il cast è ottimo.
  • La maturazione narrativa e stilistica del regista è notevole.

Cosa non va

  • Alcuni dei dialoghi potrebbero mettere alla prova chi non ama vedere i film sottotitolati.