Per la nostra recensione de La sfida delle mogli, l'inevitabile punto di partenza non può che essere l'opera d'esordio del regista Peter Cattaneo: quel Full Monty che, fra l'estate e l'autunno del 1997, si rivelò un successo di proporzioni stratosferiche, con sessanta milioni di spettatori in tutto il mondo, un premio Oscar su quattro nomination e la vittoria del BAFTA Award come miglior film ai danni nientemeno che del blasonatissimo Titanic. Ma ciò che più conta è che da quel momento la 'formula' di Full Monty, diventata una delle pellicole più amate nella storia del cinema britannico, avrebbe stabilito un paradigma destinato ad essere ripreso in innumerevoli occasioni, soprattutto in patria.
E a ventidue anni di distanza, e con alle spalle una carriera che non ha mantenuto affatto le promesse di quel fragoroso debutto, è lo stesso Peter Cattaneo a replicare uno schema analogo a Full Monty con il suo quinto lungometraggio per il cinema, La sfida delle mogli: una commedia sceneggiata da Rosanne Flynn e Rachel Tunnard basandosi sulla reale vicenda dei cori delle cosiddette military wives, che attualmente contano oltre duemila componenti e che sono state capaci, nel 2012, di conquistare la vetta della classifica nazionale con un album di cover di classici di Bob Dylan, U2, Carole King, Coldplay e Buddy Holly.
Le mogli dei soldati
Una classica storia edificante, in sostanza, incentrata su un gruppo di persone comuni che, in reazione alle difficoltà del presente e alle angosce dell'attesa quotidiana, decidono di cimentarsi in uno specifico genere di intrattenimento, acquisendo sempre maggior fiducia in se stesse - a dispetto delle insicurezze iniziali - fino a dimostrare pubblicamente il proprio valore. E se il canovaccio non vi è nuovo, è appunto perché La sfida delle mogli ricalca per filo e per segno la struttura di Full Monty (e dei suoi epigoni meno noti), sostituendo allo spogliarello maschile di un manipolo di membri della working class il canto corale di mogli e fidanzate di una divisione dell'esercito britannico di stanza in Afghanistan, residenti nella stazione militare di Catterick Garrison, nei pressi di Richmond.
A formare, guidare e gestire il coro, nato quasi per caso allo scopo di combattere l'ansia per i mariti al fronte e tenere occupata la mente, sono Kate e Lisa, interpretate da Kristin Scott Thomas (al solito, una garanzia) e da una star della TV inglese, Sharon Horgan. Due personaggi agli antipodi, ovviamente: tanto Kate è formale, impettita, legata alla tradizione e quanto mai desiderosa di offrire il proprio contributo alla comunità delle "mogli dei soldati", quanto Lisa è spigliata, dissacrante, ma in grado di mettere da parte il proprio scetticismo sull'onda dell'entusiasmo per un progetto che la vedrà via via più coinvolta... e all'interno del quale, nonostante la malcelata irritazione di Kate, deciderà di portare una ventata di spontaneità e l'energia della musica pop.
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'Sister Act, senza i mafiosi e senza Dio'
"È come Sister Act, ma senza i mafiosi e senza Dio", è la battuta con cui viene descritto il coro delle military wives, ma la stessa definizione si applica perfettamente anche al film di Cattaneo: Sharon Horgan e Kristin Scott Thomas sono più o meno le equivalenti di Whoopi Goldberg e Maggie Smith (con un taglio più realistico, beninteso) e l'intera operazione si regge su di loro, sulle efficaci caratterizzazioni di questa coppia di comprimarie e sulle interazioni reciproche, in cui si alternano diffidenza e amicizia, solidarietà e tensioni destinate ad esplodere nel prefinale. Il tutto condito dai momenti musicali, con rivisitazioni di classici del pop britannico e americano degli anni Ottanta e dintorni: Don't You Want Me degli Human League, Only You degli Yazoo, Time After Time di Cyndi Lauper, Shout dei Tears for Fears e, sui titoli di coda, We Are Family delle Sisters Sledge.
La leggerezza del soggetto, condito da qualche divertente punchline e animato dalla simpatia del cast, non esclude comunque qualche elemento più 'impegnativo': primo fra tutti il lutto di Kate, che dietro la precisione inappuntabile e la solerzia organizzativa cela la sofferenza per la morte del suo unico figlio. Un aspetto che arricchisce di sfumature la protagonista, permettendogli di svincolarsi dal rischio dello stereotipo; peccato che tali spunti non sempre siano sfruttati a dovere dallo script, che nella maggior parte dei casi preferisce invece percorrere sentieri già battuti più e più volte e affidarsi alle soluzioni più facili e scontate, finendo fra l'altro per relegare sullo sfondo la maggior parte dei personaggi secondari.
Conclusioni
Come sarà stato possibile evincere attraverso la nostra recensione di Military Wives, la commedia di Peter Cattaneo non ha pressoché nulla di originale da offrire, né tantomeno il coraggio di allontanarsi, anche minimamente, dai codici standard del filone di appartenenza (e l’epilogo, in particolare, segna l’apoteosi della prevedibilità). Al netto di tali considerazioni, tuttavia, è difficile non farsi strappare qualche sorriso dall’innocua piacevolezza di un film ben consapevole dei binari su cui sta viaggiando, e che non manca di offrire ai propri spettatori-tipo, fra risate e qualche parentesi di commozione, esattamente ciò che questi si aspettano.
Perché ci piace
- La natura di crowdpleaser di un’operazione che, per quanto imperfetta, funziona rispetto al suo pubblico di riferimento.
- La vivace presenza di due protagoniste carismatiche come Kristin Scott Thomas e Sharon Horgan.
- Un irresistibile repertorio musicale che va a pescare nel fior fiore della music pop anni Ottanta.
Cosa non va
- Una struttura formulaica che non si discosta nemmeno per un attimo dal paradigma preso a modello.
- Una parte conclusiva decisamente banale, in cui ogni conflitto viene risolto con improbabile facilità.
- L’immancabile effetto déjà-vu dovuto al confronto con numerosi film dalla stessa, identica impostazione.