Ed anche quest'anno è finita. Settimane e settimane di tredipazione, tifo, polemiche e sbadigli si concludono come sempre senza lasciarci con troppa voglia di ricominciare, almeno per qualche mese: anche quest'anno, infatti, l'Academy of Motion Picture Arts and Science è riuscita generare perplessità pur regalando scelte in massima parte assolutamente prevedibili - il trionfatore The Artist era quotato 1.06 dai bookmaker inglesi, decisamente a ragione in base a quanto visto stanotte.
Come era infatti largamente preannunciato, il film di Michel Hazanavicius ha ottenuto gli Academy Awards più prestigiosi, quello per il miglior film, quello per la regia e quello per il migliore attore, andato a Jean Dujardin; pur dovendo cedere il premio per la sceneggiatura originale a Midnight in Paris e all'elusivo Woody Allen e quello per il montaggio ai maghi di David Fincher, Kirk Baxter e Angus Wall, premiati per Millennium - Uomini che odiano le donne (una delle poche piacevoli sorprese della serata), si è rifatto con costumi, colonna sonora per ottenere così un lauto bottino di cinque Oscar - lo stesso numero finito in mano al suo più agguerrito, ma mai davvero inisidioso, rivale Hugo Cabret di Martin Scorsese, che ha fatto invece incetta di premi tecnici, dal meritatissimo premio alle scenografie di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo agli effetti speciali, passando per le due categorie dedicate al sonoro fino ad arrivare alla vittoria un po' a sorpresa del veterano Robert Richardson, che ha "soffiato" la statuetta a Emmanuel Lubezki (The Tree of Life).
Ad essersi conquistato l'Oscar con il fascino, ma anche con l'aiuto dello straordinario supporto al suo film, è Dujardin, che non ci ha esattamente steso con il suo discorso, ma si è rifatto più tardi dividendosi tra Meryl Streep e la sua co-star a quattro zampe Uggie. E a proposito di Meryl, quello per la migliore attrice era l'unico riconoscimento attoriale almeno in parte in discussione, e dobbiamo ammettere che un po' ci dispiace che sia stata scelta questa occasione per consegnarle un dovuto terzo Oscar che poteva aspettare ancora uno o due anni. Perché questa, invece, era l'occasione di premiare un talento immenso come quello di Viola Davis, attrice che ha faticato ad emergere e che non può esattamente contare sullo stesso numero di offerte di prestigio che arrivano quotidianamente sulle scrivanie degli agenti della Streep. Ma archiviamo le amarezze per questo 2012, e parliamo di note più lievi ovvero della cerimonia e della conduzione. Le scelte di Brian Grazer e degli altri produttori dello show si rivelano per lo più azzeccate nello snellire e rendere fluida la serata: nessuno ha sentito la mancanza delle esibizioni delle canzoni in nomination (che comunque erano solo due, indice forse di una categoria al tramonto) mentre l'unica performance sul palco - e dintorni - quella del Cirque du Soleil, è stata davvero un successo.
Una sicurezza, ma non c'era certo da dubitarne, l'host Billy Crystal e le sue formule rodate, con tanta improvvisazione a seguire l'avvio tradizionale con montaggio effettato e collage musicale dedicato ai nove film candidati all'Academy Award per la migliore pellicola. Crystal infila battute family friendly, con un picco di cattiveria ai danni del povero Nick Nolte, ma a regalarci la risata più sonora è il più giovane (e più abbronzato, come direbbero certi funzionari governativi dalle nostre parti) collega Chris Rock. A fungere da collante, è il sentimento dettato dall'egemonia di The Artist, miglior film del 2011 dal sapore antico per l'Academy of Motion Picture Arts and Science: la nostalgia cinefila. Ma, al contrario di quanto avviene nel film di Hazanavicius, le parole non si risparmiano, e l'Academy ci racconta attraverso quelle di decine di attori e cineasti la meraviglia di cui è parte integrante. E' che è la ragione principale per cui, anno dopo anno, ci ritroviamo qui a celebrare e a vituperare i capricci, le manie e la grandeur di Hollywood e dei suoi eroi.