
È inevitabile, nello scrivere la recensione di 47 metri: Uncaged, ragionare sul confronto con il film precedente, cercando di individuare quali siano i punti di contatto e quali le differenza, ma soprattutto se il nuovo capitolo diretto da Johannes Roberts sia o meno all'altezza del suo predecessore. Va detto subito che la continuità col passato c'è ed è pensata con criterio, ma è anche evidente l'esigenza di non ripetersi e spingersi oltre i rassicuranti confini del 47 Metri di tre anni fa per cercare di rinnovarsi e stupire lo spettatore. E questa esigenza è soddisfatta solo in parte.
Avventura tra sorelle

Come nel primo film, anche in 47 Metri: Uncaged ci sono due sorelle protagoniste. Due sorellastre, in realtà, molto diverse tra loro: Sasha è sicura di sé e spigliata, mentre Mia è timida e vittima delle angherie di alcune compagne di scuola. Di certo la loro situazione non è aiutata dal recente trasferimento in Messico, per seguire le esigenze lavorative del padre che si occupa di ricerche archeologiche sottomarine: l'incipit del film mette subito in chiaro la situazione delle due sorellastre, la difficoltà nella loro intesa e il percorso che dovranno affrontare per superarle.

Un percorso che passa attraverso il faccia a faccia con dei minacciosi squali, i villain dichiarati del film, che avviene proprio in alcune rovine sommerse su cui sta lavorando il padre delle ragazze: a dispetto di biglietti regalati loro per un'escursione in una barca dal fondo a vetri per ammirare gli squali, le due ragazze si uniscono alle amiche Alexa e Nicole per una gita in un piccolo lago nascosto, dal quale è possibile accedere alla città sottomarina... e ai suoi pericolosi abitanti.
La continuità col passato

Se, come accennato, uno degli elementi di continuità col passato è l'avere due sorelle protagoniste, con le relative dinamiche da sviluppare, l'altro è senza dubbio il senso di claustrofobia che domina il racconto. Anche se il titolo Uncaged parla chiaro e non c'è più la componente della gabbia a proteggere/imprigionare le protagonista, i cunicoli della città sommersa riescono a trasmettere la stessa sensazione di oppressione e, letteralmente, di asfissia, considerando l'aver mantenuto il logico espediente narrativo della riserva d'aria in esaurimento.
Un po' di eleganza in meno

Partendo da queste basi, lo sviluppo di 47 metri: Uncaged rappresenta una variazione sul tema di quanto già visto, con i confini più ampi della città a fornire nuovi ganci di messa in scena. Spunti che il regista sfrutta solo in parte, perché riesce solo a tratti nel tentativo di allargare l'azione e sorprendere lo spettatore: un paio di sorprese emergono tra altri espedienti decisamente più prevedibili, mentre in termini di messa in scena aumentano le soluzioni visive meno curate ed eleganti. Pro e contro che non cambiano la sostanza e l'appetibilità finale di un film che può soddisfare la voglia di svago e brividi di una serata.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di 47 metri: Uncaged sintetizzando pro e contro del film di Johannes Roberts, evidenziando come siano presenti diversi punti di contatto con il capitolo precedente, ma non sempre le novità introdotte, necessarie per garantire varietà e mantenere l’interesse del pubblico, risultano riuscite. Non mancano, però, quei brividi che ci aspettiamo da questo tipo di film, che giustificano la visione e il rispetto della tradizione nostrana da horror estivo… anche tra le mura domestiche!
Perché ci piace
- Il modo in cui Uncaged riprende e ripropone alcuni elementi base del primo capitolo.
- La capacità di Johannes Roberts di sfruttare la struttura labirintica della nuova ambientazione.
- Un paio di momenti che riescono a sorprendere…
Cosa non va
- … che spiccano tra altri più prevedibili.
- La necessità di fare di più del primo film porta a essere meno ricercato nella messa in scena.
- Poca attenzione per la definizione dei personaggi, in particolare quelli secondari.