Un juke-box che suona "Don't stop me now"; birre spillate e bevute tutte d'un fiato; uomini stanchi, che si trascinano a lavoro; ma soprattutto un cornetto alla fragola dal colore rosso acceso. Non c'è nulla di straordinario dietro questi elementi, giusto? Ognuno di essi non è altro che un dettaglio insignificante caratterizzante l'ordinarietà di una vita qualunque. Ma se sei Edgar Wright, nulla è regolare, tutto vive fuori dal coro, e così un gelato, un brano, una pinta di birra si fanno contenitori imprevedibili di un film sugli zombie. E in effetti, L'alba dei morti dementi va oltre gli stereotipi del genere, per inebriarsi di parodia, stabilire i tratti fondanti di un modus operandi già formato, già compatto, pronto ad arricchirsi, a maturare, senza mai disunirsi, ma solo confermando il suo potenziale.
Aveva solo trent'anni quando - in un afoso agosto del 2004 - un giovane regista, tale Edgar Wright, fece il suo debutto ufficiale sul grande schermo; sconosciuto ai più, in Inghilterra il suo era un nome già conosciuto, forte del successo di una serie come Spaced (trasmessa su Channel 4, dal 1999 al 2001), dove la routine di uomini e donne chiamati a entrare nel mondo degli adulti, tra responsabilità e doveri, si mescola a una galleria citazionistica, che prende in prestito, fino a omaggiare, quel bacino cinematografico che ha segnato, cullato, e forgiato l'educazione audio-visiva di Wright. Ma il cinema è un'altra cosa; offrire la propria visione nel buio di una sala cinematografica significa mettere a confronto i propri pensieri lisergici, i propri processi mentali, e i risultati di una macchina dell'immaginazione in continuo movimento, con completi sconosciuti. Significa, cioè, condividere tracce di sé, con spettatori colti in balia di uno pseudo-sogno (o pseudo incubo), per stabilire un legame di fiducia, e insieme sorprendersi, o addirittura annoiarsi.
L'alba dei morti dementi: Il risveglio dello zombie-movie
Con L'Alba dei morti dementi, Edgar Wright alza l'asticella della propria performance; non solo si getta a capofitto nei meandri di un universo complesso come quello dello zombie-movie che - complice il successo ottenuto da 28 giorni dopo, e poi consolidato dalla serie TV The Walking Dead - in quegli anni si stava finalmente risvegliando da un letargo decennale, ma ribalta la totale grammatica stilistica e narrativa che caratterizza tale genere, traducendo un saggio sul terrore generale di una società allo sbando (siamo negli anni post-11 settembre, dove la paura per gli attentati terroristici dilagava sempre più) in una visione parodica del mondo.
La forza della parodia
Parodiare non significa solo prendere in giro; nel gergo cinematografico di Edgar Wright la parodia diventa un omaggio sincero, una totale comprensione e assimilazione degli strumenti del mestiere e dei tratti caratterizzanti un intero genere, per creare qualcosa di nuovo senza snaturare il materiale di partenza. Figlio prediletto di quella corrente post-contemporanea dove tutto pare già essere stato detto e fatto, Wright si pone all'altezza di Quentin Tarantino e sfrutta la propria cinefilia per cogliere a piene mani i segreti del genere e modellarli secondo la propria vena artistica. Si abbevera direttamente alla fonte dello zombie-movie, Wright, ma quel sapore di polvere misto a sangue e virus non gli è abbastanza; deve correggere il tutto con quell'estro sarcastico che tanto lo caratterizza, rimescolando le carte, citando mondi già conosciuti, per poi sorprendere il proprio pubblico con un colpo di scena, o una battuta del tutto imprevista con la quale il riso si sostituisce allo spavento.
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Eroi incompresi di un mondo incompreso
Un ribaltamento parodico, quello compiuto da Wright, già esternato dal titolo stesso, sia nella sua versione italiana, che originale: L'alba dei morti dementi, ovvero Shaun of the dead. Basta poco per cogliere il riferimento cinematografico, quell'omaggio al cult di George Romero destinato a divenire titolo seminale di un intero modo di percepire e realizzare uno zombie-movie. Ricalcando i margini del film di Romero, Wright decide di giocare in controluce, darne una versione capovolta, dove gli eroi prediletti alla salvezza di una comunità, adesso si fanno due coinquilini distratti, ordinari, assuefatti da una realtà che non comprendono e da cui non vengono compresi.
Simon Pegg, con quella divisa da commesso imbrattata di sangue, è il portavoce di una gioventù ormai ancorata alla routine quotidiana, incapace di organizzarsi e dare il giusto tempo al lavoro, alla famiglia, e alla propria sfera privata. Ed (Nick Frost) è l'apoteosi dell'uomo incapace di accettare il tempo che scorre e il peso delle responsabilità che subentrano. Eterno Peter pan, si nasconde al mondo esterno così da evitare doveri che la sua età gli richiede, come un lavoro, o un qualsiasi minimo sforzo fisico e intellettuale. Prolungamenti cinematografici dei personaggi immortalati da Wright in Spaced, adesso i suoi protagonisti si ritrovano a far fronte a un'ondata di zombie, senza capire inizialmente il confine tra reale e immaginario.
Prigionieri di una quotidianità rivolta verso gli schermi televisivi, con le mani impegnate a giocare ai videogiochi, i due, con la complicità della fidanzata e della madre di Shaun, affrontano il pericolo affidandosi alle informazioni recepite nel corso delle loro ipnosi videoludiche, o cinematografiche, proprio come il regista si avvale degli insegnamenti appresi dai propri "maestri" nel corso delle sue maratone bulimiche di film da divorare senza fine. Testimoni di un mondo fatto di azione e sangue, spari e risate, questi eroi improvvisati affrontano il pericolo muovendosi lenti, con passi stanchi e strascicati, mentre gli zombie che gli attaccano sono svelti, imprevedibili. Sussiste anche qui un ulteriore livello di ribaltamento narrativo: a essere prigionieri di un qualcosa più grande di loro non sono più i morti viventi, ma i vivi stessi, prigionieri di una routine destinata a reiterarsi sempre uguale a se stessa. Da passivi osservatori di un mondo violento, i suoi protagonisti si ritrovano catapultati nel gioco dell'azione. Un gioco dove comunque il contenuto horror non viene mai smorzato, o eliminato, ma solo rinvigorito da una componente ironica che lo rende ulteriormente irresistibile.
Un pub vi salverà (o forse no)
All'interno del pub di fiducia di Ed e Shaun (e non più il centro commerciale di Romero, ambiente di elezione per denunciare la portata consumistica della società del tempo), non solo si presentano situazioni, elementi diegetici, personaggi, tipici del genere di riferimento, quanto gli stilemi che andranno a caratterizzare la regia e l'operato di Wright stesso. Dal piano sequenza, alle carrellate improvvise e fulminee, passando per le panoramiche a schiaffo, all'uso di una colonna sonora a tratti dissonante e anaempatica (l'uso della musica dei Queen durante l'attacco zombie è pura genialità) e agli zoom su dettagli apparentemente insignificanti (ma che vanno a enfatizzare la natura di uomo noioso e ordinario come Shaun) come tavolette del bagno, cartoni del latte, o cornetti gelato (da qui il termine Trilogia del cornetto, di cui L'alba dei morti dementi sarà il primo capitolo, seguito da Hot Fuzz e La fine del mondo) ogni elemento si farà punto di partenza su cui rafforzare uno stile già formato e riconoscibile. Uno stile che, dopo vent'anni, ancora ci coinvolge, ancora ci conquista, rimanendo fresco, attuale, ma soprattutto unico e riconoscibile. Proprio come un cornetto Algida alla fragola.