Sarcastico, ma con la giusta dose di sentimenti, scomodo e ribelle come la sua giovane protagonista, imbevuto della cultura social che ha finito per determinare relazioni e identità della Next Generation. 17 anni (e come uscirne vivi), illuminante coming of age di cui Kelly Fremon Craig è sceneggiatrice oltre che (per la prima volta) regista, attinge a piene mani dal fertile background dei teen movie; presentato con un grande successo di pubblico e critica al Toronto Film Festival dello scorso anno e con un'eco quasi nulla nel nostro paese, il film rientra nel solco della commedia adolescenziale americana ma con l'intento di rinnovarla unendo l'anima più pop del genere, che negli anni '80 portava la riconoscibilissima firma di John Hughes (Breakfast Club, Bella in rosa, Un compleanno da ricordare - Sixteen Candles), con lo spirito indie che lo ha contraddistinto in tempi più recenti (Juno, Noi siamo infinito, Quel fantastico peggior anno della mia vita).
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La nuova via del teen movie
I riferimenti sono quelli classici del filone: le prime volte, i tormenti dell'adolescente sfigata, il bello della scuola, l'amica del cuore, il fratello maggiore che spopola tra le ragazze, i luoghi comuni del liceo americano, il bellicoso rapporto con il mondo adulto, genitori in primis. Cliché che però Fremon Craig rivisita in un modo personalissimo e originale conservando da un lato l'impalcatura del genere e ricomponendola dall'altro con pennellate di cinema indipendente (la famiglia disfunzionale, i dissacratori e verbosi sfoghi della protagonista, il sarcasmo di alcuni dialoghi).
Ne verrà fuori il ritratto di un'adolescenza 2.0, un racconto di formazione sorretto da una galleria di figure che, dalla principale a quelle più marginali, risulteranno tutte profondamente caratterizzate: una diciassettenne in piena crisi adolescenziale, Nadine (Hailee Steinfeld), con manie suicide e una tagliente ironia, un professore caustico e imperturbabile (Woody Harrelson), che ne saprà accogliere sproloqui e farneticazioni, una madre un po' incasinata (Kyra Sedgwick), vedova irrisolta ancora incapace di superare la morte del marito, la migliore amica di sempre, Krista, quella che l'avrebbe salvata da un'infanzia infernale ("Un angelo vestito come un gentiluomo attempato e con l'alito che le sapeva di caramelle") e l'odiatissimo fratello Dorian ("Al mondo ci sono due tipi di persone: i vincenti come mio fratello e quelli come me che sperano che i primi muoiano", dirà Nadine in una delle battute iniziali del film).
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Nadine come Daria Morgendorffer
Nadine è un pesce fuor d'acqua, l'outsider di turno: una ragazzina ombrosa e grottesca, stretta nelle sue minigonne colorate, le calze a rete e le inseparabili Converse, che per sarcasmo, intelligenza e deliri dark riporta alla mente un'altra adolescente inquieta, la sedicenne Daria, celebre protagonista dell'omonima serie animata creata da Glenn Eichler e Susie Lewis Lynn.
Nel suo rocambolesco cammino di formazione attraverserà tutte le fasi tipiche della ricerca di un'identità, passando dalla autocommiserazione all'indisponenza impegnata com'è nella guerra perenne contro chiunque non si allinei a lei, dalla messa in discussione di sé fino all'epifanica ricomposizione della propria immagine.
Un personaggio spigoloso e capace di saper essere anche terribilmente antipatico: la forza della Nadine di Hailee Steinfeld (la bambina protagonista de Il grinta dei fratelli Coen) risiede proprio in questa sua naturalezza, nella sua umana imperfezione, in quella profonda onestà che la rende reale e credibile agli occhi dello spettatore.
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La grazia di Hailee Steinfeld
La Steinfield è giovanissima, ma ha la fierezza e la grazia necessarie per farsi interprete di una performance illuminante, che l'ha portata a una nomination agli scorsi Golden Globes; intorno a lei un parterre di co-protagonisti che a turno la affiancheranno collaborando a mettere in scena memorabili duetti, su tutti quelli con il sagace professore interpretato da Harrelson che infila una battuta dopo l'altra.
L'esordio alla regia della trentaseienne Kelly Fremon si conferma un'operazione condotta con abilità e sapiente lavoro di scrittura, brillante nel tratteggiare personaggi e situazioni che altrove avrebbero rischiato di diventare l'ennesima sbiadita copia di modelli abusati e banalizzati dalle regole del prodotto hollywoodiano più dozzinale.
Così, senza scadere nella trappola del prodotto 'acchiappa adolescenti' con bellissimi e dannati che si innamorano della ragazza tutta acqua e sapone, carina e un po' impacciata, 17 anni (e come uscirne vivi) rispolvera e cita precedenti diventati cult, guardando alla contemporaneità e conservando un sapore vagamente retrò.
Movieplayer.it
3.0/5