La figlia più piccola
L'esordio registico di Alice Rohrwacher, Corpo Celeste, trova il suo ideale palcoscenico nella Quinzaine des Realiseateurs, la sezione del Festival di Cannes che accende i suoi riflettori sull'opera prima della brava autrice fiesolana. Un film esile ed aggraziato come la sua protagonista, Marta, una tredicenne che torna a vivere a Reggio Calabria dopo un lungo periodo passato in Svizzera. Sensibile e naturalmente incline alla riflessione, la ragazzina vive con disagio la preparazione alla Cresima, sacramento che sembra fondamentale per la sua crescita, almeno così tutti glielo presentano. A contatto con l'indaffaratissimo Don Mario e con la catechista Santa, Marta inizia un suo percorso di conoscenza che fatalmente la porta ad interrogarsi sulla violenza di certe imposizioni, sull'arcaicità di valori strettamente legati ad un territorio quasi 'bloccato' nella sua evoluzione, dov'è ancora forte il misticismo, il ricorso a dio come unica soluzione di tutti i problemi.
Se nei i Baci mai dati di Roberta Torre la giovane protagonista inventa un miracolo e diventa parte integrante di un colorato show-carrozzone, qui non c'è traccia di miracoli o di svelamenti ultraterreni; anzi tutto è legato alla realtà, tratteggiata con mano accurata dalla regista, bravissima nel restituire sul grande schermo la pesante ineluttabilità che circonda le esistenze degli abitanti di questo mondo antico, ostinatamente legati ai riti, siano essi sacri (la messa della domenica) o profani (i balletti-esibizione delle figlie più piccole, creature vezzeggiate e idolatrate, simbolo di un riscatto che forse non arriverà mai). Marta la svizzera guarda tutti con stupore misto a incredulità; con una dolcezza rara si prende cura della mamma, con la quale ha un rapporto aperto e affettuoso e schiva, non senza soffrirci, i colpi durissimi inferti da una sorella maggiore ingenerosa. Tutto questo avviene quando il suo corpo di adolescente si trasforma e mentre tutti attorno a lei continuano a ricordarle che deve avere fede, deve compiere la sua scelta e far parte dell'esercito di Cristo. Anche Gesù, però, è una figura inquieta nella testa della ragazzina; certamente non è l'eroe che le viene presentato nei bislacchi testi di studio, ma neanche (solo) il protagonista assoluto delle cantilene delle vecchie del paese. Forse è solo un vecchio crocifisso di legno che Don Mario deve recuperare (e perdere?) per sostituire quello che fa bella mostra di sé in chiesa, un intreccio di lampade al neon che non dà alcuna soddisfazione ai fedeli, perché, appunto, è senza corpo. E' un film dalle immagini forti ed evocative Corpo Celeste, che soffre in certi punti la poca malizia narrativa della regista, abilissima invece quando fa sfoggio di una delicata ironia nel raccontare le contraddizioni del microcosmo che ruota attorno alla parrocchia, istituzione sempre meno radicata in un tessuto urbano sfilacciato (a messa vanno solo quelli che non hanno nulla da fare, sentenzia preoccupata una delle educatrici religiose) e per questo 'vittima', o forse ideale conseguenza del nuovo che avanza; il catechismo si fa con quiz alla Gerry Scotti, mentre le formule religiose vengono mascherate con canzoncine idiote. Eppure l'immancabile perpetua innamorata del parroco, lo stesso Don Mario e il suo smarrimento di fronte ad una vita sbagliata, vengono mostrati senza alcuna condanna o voglia di ridicolizzare. Quella della regista è indubbiamente una scelta coraggiosa, tuttavia nel lasciar parlare quei volti e quelle voci a volte l'autrice raffredda il suo sguardo, impedendo una partecipazione viscerale a quanto si vede. Quello di Alice Rohrwacher però resta un esordio brillante, denso di temi, ben interpretato dalla protagonista, Yle Vianello e da un cast in cui spiccano Salvatore Cantalupo, Anita Caprioli e Renato Carpentieri. Il tributo ad una giovanissima donna che inizia la sua vita, senza miracoli.
Movieplayer.it
3.0/5