Recensione Hereafter (2010)

Solo un autore come Eastwood poteva lavorare su un materiale simile senza creare un'accozzaglia di simboli, o peggio un pietoso sermone recitato da un comodo pulpito; il suo aldilà non ha nulla di religioso, somiglia, invece, alla fantasia di un artista che si interroga su un argomento così delicato e personale, regalandoci una risposta che non vuole essere definitiva.

Grandi speranze

George Lonegan non pensa di essere una persona fortunata. Il fatto che possa comunicare con i defunti è una maledizione che l'ha condannato alla solitudine. Un vuoto, il suo, che l'operaio di San Francisco cerca di riempire seguendo improbabili corsi di cucina italiana e ascoltando l'adorato audiolibro di Charles Dickens, David Copperfield. Il fratello maggiore vorrebbe che lui tornasse a fare le sue "sedute", per guadagnare un po' di soldi, ma George non ne vuole più sapere. A svariati chilometri di distanza, la giornalista francese Marie Lelay deve fare i conti con lo spaventoso ricordo dello tsunami in Indonesia. In quel 26 dicembre del 2004, anche la reporter è stata colpita dall'onda anomala, sfiorando la morte e quell'aldilà in cui ogni sensazione sembrava come sospesa a mezz'aria. A Londra, invece, il piccolo Marcus vede morire il fratello gemello Jason, quello più grande di ben dodici minuti, quello a cui faceva prendere ogni decisione, perché in fondo sapeva farci più di tutti. Marie e Marcus hanno bisogno di George per cercare di comprendere quello che in realtà non dovrebbe essere un mistero, ma semplicemente e naturalmente la fine della vita. Dopo qualche tempo, si incontrano tutti all'ombra del Big Ben; George per tagliare i ponti col passato e Marie per presentare il libro sulla sua esperienza di sopravvissuta. A Marcus il compito di farli incontrare.


Progetto spiazzante, quello di Hereafter (l'aldilà), il nuovo lavoro di Clint Eastwood, perché quando si affronta un tema come la morte, il pericolo è davvero dietro l'angolo. Solo un autore come Eastwood poteva lavorare su un materiale incandescente come questo, senza creare un'accozzaglia insensata di simboli, o peggio ancora, un pietoso sermone recitato da un comodo pulpito. E' sempre lo stesso uomo che in Million Dollar Baby poneva fine alla vita della sua protagonista con un'iniezione letale; e in quel caso, nonostante il personaggio di Frankie Dunn fosse un cattolico irlandese (in verità piuttosto arrabbiato con i preti), non si alludeva ad un altro mondo, ma solo ad una dolorosa e dignitosissima separazione. Forse il merito più grande del film è che neanche in questo caso si parla di paradiso. L'aldilà di Eastwood non ha nulla di religioso, somiglia, invece, alla fantasia di un artista che si interroga su un argomento così delicato e personale, regalandoci una risposta che non vuole essere definitiva o dogmatica; seguendo le orme di Charles Dickens, la cui presenza è assolutamente strategica per lo sviluppo del racconto, crea i suoi spiriti, i suoi fantasmi, che riusciamo a vedere solamente per qualche secondo.

Non si può rimanere impassibili davanti al dolore di quelle persone che tentano di farsi una ragione per la morte di un proprio caro, un fratello, una figlia piccolissima, la moglie, i propri genitori. Per molti di loro la reazione è immaginare che esistano ancora, poterli raggiungere in qualche maniera. Non è questo lo spazio per discutere se l'aldilà esista o meno (dettaglio non marginale nel film, com'è logico che sia, ma sorprendentemente non sostanziale), va notata, invece, la straordinaria maestria di Eastwood nel raccontare storie, nell'incastrare le vite dei personaggi che animano il film, aiutato dalla puntuale sceneggiatura di Peter Morgan e dalle misurate interpretazioni di Matt Damon (George) e del debuttante Frankie McLaren (Marcus). I protagonisti sono intimamente legati l'uno all'altro, portatori di un visione dei fatti per forza di cose parziale. Il loro incontro supera ogni facile misticismo, perché ognuno possiede quello che all'altro manca. E' nella vita reale che si gioca la loro partita. Eastwood, quindi, ci dice che il cinema appartiene ai vivi. E il finale, geniale nella sua semplicità, rivela ancora una volta la sua grandezza.

Movieplayer.it

4.0/5