Davanti al nuovo film di James Ivory, Quella sera dorata, in uscita venerdì 8 ottobre per Teodora distribuzione, non si può fare a meno di notare il classico marchio di fabbrica del grande autore. La sua è un'opera elegante ed estremamente ironica, fluida nella bellezza delle immagini, ideale completamento visivo dell'omonimo romanzo scritto da Peter Cameron edito da Adelphi. E il regista americano, che abbiamo incontrato questa mattina alla Casa del Cinema, sembra aver destinato un posto speciale nel suo cuore per questa opera, già presentata fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2009. Forse perché, dopo tanto tempo, il cineasta statunitense torna a raccontare il presente e lo fa attraverso le vicende di un insieme di personaggi che alla fine realizza i propri sogni. La storia, infatti, è quella di un giovane studente di letteratura (Omar Metwally) che piomba nel rifugio uruguaiano di Jules Gund, un celebre scrittore morto suicida, per convincere la vedova Caroline (Laura Linney), la di lui amante Arden (Charlotte Gainsbourg) e il fratello Adam (Anthony Hopkins) a concedergli l'autorizzazione a scriverne l'autobiografia. In questa sorta di paradiso terrestre, però, il ragazzo viene affascinato da queste persone e finisce per diventare il catalizzatore di tensioni sotterranee mai del tutto sopite. Senza lo storico collaboratore Ismail Merchant, scomparso nel 2005, Ivory non ha voluto rinunciare alla collaborazione con la sceneggiatrice prediletta, Ruth Prawer Jhabvala. Il film, girato tra Argentina e Canada, conferma la vocazione da giramondo del regista che proprio in questi giorni ha effettuato alcuni sopralluoghi a Firenze per il suo prossimo spettacolo teatrale, dedicato alle celebrazioni per il cinquecentesimo anniversario della nascita del pittore e architetto rinascimentale Giorgio Vasari.
Signor Ivory, cosa l'ha affascinata maggiormente del romanzo di Peter Cameron?James Ivory: Mi ha colpito la leggerezza del racconto, il fatto che tutte le coppie di personaggi alla fine trovasse la propria realizzazione. Ho scelto di chiudere il film proprio con le note di un'opera di Mozart per sottolineare tutto ciò. E poi ho amato il Sudamerica, in particolare l'Argentina. A proposito del libro, Peter Cameron non è mai stato in Sudamerica. Penso non si sia spinto al di là del Messico, eppure ha immaginato questo mondo in maniera splendida. Credo di aver scelto questo libro proprio per avere la possibilità di ritrovare quelle atmosfere. Quando ci ho messo piede ho rivisto tutto quello che era stato narrato nel romanzo. E lo stesso scrittore che poi è venuto a trovarci sul set era felice di non essere andato troppo lontano dalla realtà. Mi ritengo un uomo fortunato ad aver lavorato con persone del genere.
Camera con vista, Quel che resta del giorno, The Golden Bowl sono solo alcuni dei suoi film tratti da romanzi di grande successo. Cosa c'è dietro a questo amore?
James Ivory: In effetti il 60 % della mia produzione cinematografica è tratta da libri, ma ce n'è un'altra, comunque sostanziosa, che non ha nulla a che vedere con i romanzi. Ovviamente mi riferisco ai film degli inizi, storie contemporanee perlopiù ambientate in India. Poi negli anni '80 ho scoperto Henry James e la mai carriera ha preso questa direzione particolare, ma non c'è nulla di voluto. Mi piacerebbe lavorare ad una sceneggiatura originale, ma la verità è che non sempre si trovano quelle buone.
James Ivory: Non c'è da dire molto a riguardo, il lavoro grosso lo fa Ruth. Oltre ad essere una sceneggiatrice capace lei è anche una grande scrittrice, come testimoniano i numerosi premi ricevuti per il suo Calore e polvere e i dieci romanzi pubblicati. Ecco perché lei è così brava. Sa vedere un libro come nessun'altro farebbe. Credo che lei consideri gli scrittori da pari a pari per questo, pur nutrendo per loro un profondo rispetto, agisce senza timori reverenziali. Ha un modo tutto suo di lavorare, concentrandosi solo sui dettagli che possono servire per una buona sceneggiatura. Io invece mi comporto in maniera diametralmente opposta. Quando leggo un libro comincio a fare i miei segni, le dico "Guarda Ruth devo avere questo" oppure "Questo lo devi assolutamente mantenere". Il bello è che a lei non importa. Per lei conta solo la forma dello script. Naturalmente, il discorso cambia totalmente quando si parla di una nostra sceneggiatura originale. Tra quelle che hanno avuto maggior successo vorrei citare quella di Shakespeare Wallah, ma non credo che in Italia si sia mai visto.
Ancora una volta lavora con Anthony Hopkins. Viene quasi da pensare che sia il suo alter ego...
James Ivory: Non esistono due persone più diverse tra loro di noi due. Anthony è uno stakanovista, uno che deve sempre lavorare per sentirsi vivo. Io invece ne farei volentieri a meno. Lui è una star mondiale, io invece non lo sono. Lui è stato sposato tre volte, io neanche una. Forse una cosa in comune la abbiamo, quella di essere dei pittori dilettanti. A parte questo, sono stato felice di ritrovarlo sul set. L'ultima volta che abbiamo lavorato insieme è stato per Surviving Picasso, un film che per Anthony è stato molto difficile. Non era per niente soddisfatto della sua prova, anche se sono arrivati molti riconoscimenti. Lo so che si è specializzato in ruoli mostruosi, ma Anthony è perfetto per i film corali. Che dire, è stata una gioia recitare con lui e ovviamente anche con tutti gli altri.
Matteo Codignola: Ha già venduto centomila copie e sono numeri di tutto rispetto in un paese come il nostro. In ogni caso i film hanno sempre un'influenza sulle vendite. Dopo la presentazione della trasposizione cinematografica a Venezia, La versione di Barney è tornato nella classifica dei dieci libri più venduti in Italia. In questo caso posso dire che il film di Ivory è entrato davvero nel profondo del testo narrativo. E' un misto di fedeltà e invenzione, impreziosito dal suo leggendario tocco.
James Ivory: Quando sei felice di girare un film lo si vede dal prodotto finale. Ne sono convinto.