Law and (dis)order
Una delle inquadrature emblema di Giustizia privata (il cui titolo originale, di certo più pregnante, è Il cittadino rispettoso della legge) è un campo lungo che ritrae il City Hall di Filadelfia, su cui svetta la statua del padre fondatore William Penn, simbolo degli ideali egalitari e democratici su cui si fondano gli Stati Uniti. Non è ovviamente un caso che la vicenda del protagonista Clyde Shelton (Gerard Butler) - ennesimo esemplare della schiera dei "giustizieri della notte" e dei "cittadini che si ribellano" - sia ambientata proprio nella città in cui è stata firmata la Dichiarazione di indipendenza e la costituzione americana. La stessa metropoli che negli anni Novanta grazie al film di Jonathan Demme è ridivenuta simbolo della lotta per l'affermazione dei diritti civili (guarda caso anche Philadelphia, proprio come Giustizia privata, si affida ai duetti tra un avvocato afroamericano e il suo assistito wasp). Oggi i tempi sono decisamente cambiati, ed è evidente che anche il clima di terrore serpeggiato dopo l'Undici settembre deve aver fatto la sua parte. Altrimenti non si sarebbero potuti ammettere, seppure nel contesto di un action volutamente scalmanato e sovraccarico come quello di F. Gary Gray, battute del tipo: "Fuck civil rights!". Oppure non si potrebbe assistere a sequenze come quelle in cui un giudice incompetente e caricaturale fa davvero una brutta fine (una scena, quest'ultima, che neanche le più sfrenate fantasie del nostro Presidente del consiglio avrebbero potuto concepire).
Se la sceneggiatura di Giustizia privata (firmata dallo specialista di action Kurt Wimmer) avesse voluto davvero intraprendere un discorso serio sulle storture della giustizia e sulla messa in discussione del principio di legalità, ci sarebbe di che rimanere interdetti. Tuttavia il soggetto di partenza (l'integerrimo cittadino Clyde Shelton, dopo che moglie e figlia sono state animalescamente assassinate da due malviventi, decide di scavalcare l'inefficienza del sistema giudiziario vendicandosi da sé con una complessa macchinazione) risponde piuttosto al desiderio di richiamarsi al rigoglioso filone cinematografico dei vengeance movie sulla scia de Il giustiziere della notte. Anche da un punto di vista strettamente "di genere", però, le cose sono parecchio cambiate rispetto agli anni Settanta e il regista F. Gary Gray non manca di rimarcarlo, contaminando più volte il filone di riferimento con le ultime tendenze in fatto di thriller, tra cui il sottogenere del serial killer e il cosiddetto torture porn. Così Clyde Shelton, più che il discepolo del Paul Kersey interpretato da Charles Bronson, diviene piuttosto l'emulo di Hannibal Lecter o del serial killer di Seven, se non addirittura del Jigsaw di Saw - L'enigmista. Proprio come il furore forcaiolo dell'Enigmista, l'anti-giustizialismo di Clyde Shelton incarna un atteggiamento morale esagitato e manicheo, ben diverso dai dubbi e dagli interrogativi di cui erano pervasi gli inquieti (anti)eroi d'azione di Clint Eastwood, Donald Siegel e William Friedkin negli anni Settanta. Fortuna che a controbilanciare almeno in parte l'insana furia del protagonista, che si trasforma presto in pura anarchia vendicativa, è posto l'avvocato di colore Nick Rice (Jamie Foxx), il quale compirà all'opposto un percorso di progressiva responsabilizzazione del valore della legge, garantendo alla fine il rispetto di quell'equilibrio democratico simbolicamente incarnato dal Philadelphia City Hall. Il regista afroamericano F. Gary Gray è sempre stato poco interessato a spunti di riflessione politico-civili e molto più incline a una rappresentazione forsennata e chiassosa dell'azione. Giustizia privata conferma la medesima tendenza: esagerato fin quasi alla parodia nella messa in scena della complessa architettura vendicativa, granguignolesco nelle scene di tortura e omicidio, al limite del fumettistico nel modo di delineare i comportamenti dei personaggi. In un contesto così stridente e sui generis risulta sprecata la prova recitativa del duo Jamie Foxx e Gerard Butler, i quali cercano comunque di contenere le derive più grottesche della sceneggiatura. Butler, in particolare, dimostra di possedere una variegata gamma di sfumature interpretative, ma rischia ancora di rimanere imprigionato nello stereotipo costruitosi con 300. Non per niente una delle battute chiave del suo personaggio in Giustizia privata è: "It's gonna be biblical!".