Recensione Fair Game - Caccia alla spia (2010)

Esaustivo e limpido nel seguire la storia, vibrante dal punto di vista visivo e del ritmo, il film di Liman risulta un buon prodotto che sa intrattenere e informare, puntando l'indice nei confronti del governo americano e del suo uso dei media e dello scandalo per distrarre l'opinione pubblica dalle reali domande da porsi riguardo la guerra.

La giusta domanda

Se è ovvio che la verità in qualunque situazione può essere una sola, è altrettanto vero al giorno d'oggi che ci possono essere forze e poteri che vi si pongono al di sopra, decidendo deliberatamente quale sia la realtà da raccontare, descrivere, diffondere. E' un dato di fatto incontrovertibile, riconosciuto da tutti, indipendentemente dalle idee politiche del singolo.
Che ci sia nel periodo post 11 Settembre, e pre guerra in Iraq, qualcosa che non ci è stato detto, è ormai altrettanto certo, e Fair Game - Caccia alla spia, thriller di stampo spionistico di Doug Liman in concorso al Festival di Cannes 2010, si concentra proprio su quel momento storico americano e mondiale, partendo dalla storia vera di Valerie Plame e suo marito Joseph C. Wilson.


Il film di Doug Liman inizia a raccontare i fatti dall'ottobre 2001, seguendo le indagini della CIA sulle presunte armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein, alternando con efficacia le ricerche degli agenti, tra cui la Plame, sempre più sicuri della non esistenza degli ordigni, alle dichiarazioni pubbliche dei vertici del governo statunitense, in netto contrasto con queste certezze. Quelle che mostrano questo contrasto sono tra le sequenze più riuscite della prima parte del film, che costruisce il background della storia, il cui punto cruciale è un dossier di Wilson stilato in seguito ad un viaggio in Niger commissionato dalla CIA per verificare la possibilità di una vendita di uranio all'Iraq, un dossier che nega l'esistenza di questa vendita e che viene usato nelle dichiarazioni del presidente Bush per giustificare l'inizio degli attacchi.
I problemi per la coppia iniziano proprio quando Wilson decide, nel 2003, di scrivere un articolo per il New York Times, affermando la sua verità, una scelta che ha come conseguenza una fuga di notizie riguardo l'appartenenza della Plame alla CIA e la successiva sospensione dell'agente dal servizio. Per i due inizia un periodo difficile, fatto di falsità e menzogne, che sfocia nell'accusa alla donna di aver raccomandato il marito per la missione in Niger: tra i due nasce un contrasto sul modo in cui gestire la situazione, un conflitto che inevitabilmente cresce sempre di più, diventando apparentemente insanabile, fino alla decisione finale della Plame di testimoniare davanti alla commissione di indagine.

E' proprio con la ripresa della vera testimonianza della donna che Liman decide di chiudere il film, aggungendo un ulteriore senso di realtà a quanto visto nel corso di Fair Game, che grazie alla sceneggiatura precisa di Jez e John-Henry Butterworth, ricostruisce bene la vicenda. Il pregio del film è infatti nel saper guidare bene il pubblico nel conoscere la storia della coppia e dell'intrigo al centro del quale si ritrovano, senza penalizzare il ritmo della narrazione: Liman sa tenere vivo l'interesse con una costruzione dal ritmo serrato, una qualità che i suoi lavori precedenti ci avevano già insegnato a conoscere, da The Bourne Identity a Mr. and Mrs. Smith, mentre le due star chiamate ad interpretare i protagonisti, Naomi Watts e Sean Penn, per la terza volta al lavoro insieme, rendono in modo convincente i diversi momenti della storia ed i successivi livelli del loro contrasto, soprattutto nella seconda parte della pellicola.

Esaustivo e limpido nel seguire la storia, vibrante dal punto di vista visivo e del ritmo, Fair Game risulta un buon prodotto che sa sia intrattenere che informare, puntando l'indice nei confronti del governo americano e del suo uso dell'informazione e dello scandalo per distrarre l'opinione pubblica dalle reali domande da porsi riguardo la guerra. E' in alcuni efficaci monologhi dei protagonisti, ed in particolare del Wilson di Sean Penn, che le accuse diventano palesi, che la giusta domanda da porre al governo, "Perchè siamo in guerra?", viene fuori.

Movieplayer.it

3.0/5