La vita del piccolo Alessandro, orfano di padre, viene sconvolta dal ritorno dello zio Claudio, trasferitosi in Australia poco dopo la morte del fratello. Il bambino prova un'inspiegabile avversione per lo zio, e ad alimentare il suo disagio si aggiungono inquietanti allucinazioni; perfino il rapporto esclusivo con la madre gli sembra messo a repentaglio dal nuovo arrivato. E così Alessandro decide di manomettere i freni della macchina dello zio, causando un incidente in cui rimane però coinvolta anche Giulia. Aiutato dal commissario che deve indagare sulle dinamiche dello scontro, Alessandro intraprenderà un difficile percorso nella propria memoria, alla ricerca dell'origine dell'odio per Claudio. E' un coinvolgente viaggio nel mondo dell'infanzia, nelle paure e nelle meschinità che molto spesso gli adulti ignorano, il ritorno al cinema di Felice Farina. Un ritorno non facile, messo a repentaglio dal fallimento della casa di produzione e dall'assenza di distribuzione. La neonata Iris Film di Christian Lelli è finalmente riuscita a portare nelle sale il film, forte tra l'altro di un cast di grandi nomi. Protagonisti sono infatti Paola Cortellesi e Claudio Amendola, a cui non è secondo per bravura il giovane Lorenzo Vavassori, che con tutta la costanza e la sconsideratezza dell'infanzia si erge a paladino di una verità che rimane troppo spesso colpevolmente negata.
Christian Lelli: Quello con Felice è stato un bell'incontro, e il film ci ha impressionato da subito, sia per costruzione, che per interpretazione, che per regia. Abbiamo cercato di svilupparlo su tutta Italia, e abbiamo collaborato anche con la 3, insieme ad altri sette distributori, per cercare di sostenere anche il cinema italiano. Usciremo in almeno 50 - 60 copie, con la prospettiva di essere sempre pronti ad aumentarne il numero a seconda delle richieste.
Felice Farina: Sono contentissimo di questa occasione e anche della scelta che ho fatto per quanto riguarda gli attori, che qui hanno rischiato la loro grande popolarità televisiva in un progetto che va fuori dalla riconoscibilità di genere. E' stata una bellissima esperienza, anche perché abbiamo costruito un rapporto di amicizia tra noi.
Come ti sono venuti in mente Paola e Claudio per i ruoli da protagonisti? Felice Farina: Claudio ha una presenza incredibile, è a suo agio su qualunque set, e Paola era una sfida: come ho la fissa per Jack Lemmon in America oggi, così mi piace lanciare la sfida al comico. D'altro canto nemmeno Ottavia Piccolo, prima di Condominio, aveva mai fatto ruoli comici, e anche allora era stata una sfida. Con Paola ci siamo capiti subito e abbiamo lavorato benissimo insieme.
E' davvero possibile per un bambino ricordare episodi della sua primissima infanzia? Felice Farina: Si, il problema ce lo siamo posto, e abbiamo scoperto che in merito non c'è una verità assoluta, ma alcuni rappresentanti delle neuroscienze sostengono che sia possibile. Io l'ho riscontrato anche personalmente con figli di amici, ma comunque questo non è il punto fondamentale: il ricordo ha un valore simbolico, quello di un invito all'estensione della coscienza.
Paola e Claudio, come avete affrontato la necessità di "spogliarvi" da personaggi importanti come quelli da voi già interpretati?
Claudio Amendola: L'unico modo di spogliarsi dai personaggi è non vestirsi. Io diffido degli attori che entrano nella parte, perché poi non ne escono più. Non si devono portare i personaggi fuori dal set, il lavoro dell'attore è lasciarsi guidare dal regista e chiedere a lui come ci si deve comportare. Mentre si recita non vengono in mente personaggi diversi da quello che si sta interpretando; è come per un sarto, che sa fare tanto una giacca quanto un paio di pantaloni.
Paola Cortellesi: Sono d'accordo con Claudio. E' vero, c'è ancora tanta gente che pensa che personaggio e attore siano la stessa cosa, ma per fortuna noi di personaggi ne facciamo tanti e anche molto diversi. Quella è un'etichetta che pecca anche un po' di superficialità.
Claudio Amendola: Il nostro è un lavoro artigianale: vai e fai quello che ti colpisce, e di certo non faccio in questo film la faccia di quando stappo una bottiglia di vino con Fassari.
Paola Cortellesi: E' il nostro lavoro, quello di vestire panni diversi.
Claudio Amendola: A volte si fanno cose di cui poi ci si vergogna, a volte si fanno esperienze bellissime. Se non ci fosse questa diversità sarebbe una noia.
Paola Cortellesi: Se volessero lanciare un anatema su un attore, sarebbe sicuramente "che tu possa interpretare sempre lo stesso ruolo!".
Felice Farina: Io sono stato molto fortunato ad avere a che fare non solo con dei grandissimi professionisti, ma anche con persone dalla solida base umana. Questo tipo di approccio è stato parte del bello di questo gioco.
Come avete preparato le vostre parti?
Claudio Amendola: Io non ho preparato nulla, ho lavorato tanto con Felice prima, ci ha raccontato la sua idea, abbiamo fatto tante prove, ma poi la scena giusta viene quando il sentimento, l'emozione del personaggio che hai fatto tuo esce naturalmente, e il regista riceve l'intenzione giusta. Io credo che quando un regista sceglie un attore si aspetta che l'attore interpreti il suo pensiero. Io non avrei fatto bene il ruolo di Stefano e lui non avrebbe fatto bene il mio, anche per una questione di fisicità. Il ruolo quindi non l'ho preparato, mi sono limitato a parlare tanto con Felice.
Paola Cortellesi: Sono d'accordo, nemmeno io avrei interpretato bene il ruolo di Claudio. [ride] Ci si prepara a un ruolo leggendo bene, capendo bene e seguendo le indicazioni. Per me essere guidata è fondamentale, non amo la troppa libertà, la sfumatura te la deve dare il regista.
Il film è un thriller psicologico, quasi alla Dylan Dog. E' uno dei vostri riferimenti?
Mauro Casiraghi: Io sinceramente non ci ho mai pensato, ma sarebbe stato bello farlo. Capisco il riferimento, perché anche qui c'è un gioco di diversi piani di realtà. Io però non sarei così netto nel dare al film una valenza ultraterrena, abbiamo volutamente lasciare questo aspetto interpretabile dallo spettatore.
Felice Farina: Il genere di questo film è nato dopo, non è stato un atto precostituito. E' stata un'esperienza di lavoro a tre con gli altri due sceneggiatori attraverso un territorio non esplorato, motivata dalla mia curiosità di sperimentare. Quello dei generi poi è un altro luogo comune, il cinema veicola l'emozione soprattutto attraverso la forma, e noi volevamo giocare proprio su questo.
Il film ha avuto una storia produttiva e distributiva difficile, nonostante il lieto fine. Ce la raccontate?
Paola Cortellesi: Concordo nel definirlo un lieto fine, non per niente siamo qui, dopo anni dalla fine delle riprese, e siamo felici di essere rimasti uniti per assistere alla vittoria dell'uscita del film. Felice è stato eroico, sono passati sette anni da quando abbiamo iniziato il film, e in tutto questo tempo si sarebbe anche potuto rinunciare, ma lui non ha voluto. Il film potrà non piacervi, anche se noi speriamo che piaccia a tutti, ma le nostre soddisfazioni già le abbiamo avute, proprio perché Felice non ha mai mollato. Tanti amici hanno collaborato con noi per realizzare questo sogno e non possiamo esserne che felici.
Claudio Amendola: Io sono enormemente grato a Felice, perché con questo film mi ha fatto tornare al cinema. Io ho amato molto il film, e ho creduto che potesse rappresentare per me un passaggio importante, come lo sono stati i film della Labate. Io ho vissuto un momento di rottura con il cinema per via della sorte subita da questo film: certe dinamiche ti allontanano, ti fanno disamorare. Il cinema è trattato malissimo dalle istituzioni, nonostante tutto quello che dicono, e avendo Francesca (Neri ndr.) accanto vedo tutti i giorni quanto è difficile fare il produttore. Venire qui a parlare di quando credevo nel cinema mi fa venire voglia di crederci ancora.
Christian Lelli: Decine di film si incagliano, soprattutto nella fase di distribuzione, ma questo film ha un valore troppo importante, e non poteva non essere fruito, anche perché si trattava di uno spreco di soldi, essendo stato finanziato dal denaro pubblico. Io ho cercato di andare contro quelli che sono i meccanismi su cui si basa il cinema oggi.
Felice Farina: E' bello lavorare con un distributore così, con questa base ideologica. Concludo con del buonismo becero: il cinema non si riesce a uccidere, perché le persone amano il cinema oggi più che mai, forse proprio perché è più di nicchia rispetto al passato.
Claudio Amendola: La forza di questo film è anche quella di non essere databile, lo puoi rivedere in epoche diverse ma l'importante è sempre la storia. Il luogo è fondamentale, ma il tempo no.
Felice Farina: Abbiamo terminato le riprese a inizio 2004, poi la produzione è fallita, cosa che può accadere, e a quel punto potevo lasciare il film al tribunale fallimentare oppure finirlo da solo. Questa "cultura del fare" può essere rivendicata da chiunque, da Voltaire al governo attuale, ma devo dire che a me piace proprio "smanettare", smontare gli obiettivi, toccare le pellicole; perfino gli effetti speciali li abbiamo fatti in due, con i nostri computer. Io ho una natura tecnica, e infatti uno dei miei riferimenti è Sergio Leone, un regista che ha sempre avuto un rapporto quasi carnale con gli oggetti. Poi per tutto questo tempo ognuno di noi ha fatto altro, ma siamo rimasti sempre uniti, non sono stato lasciato solo.
Paola Cortellesi: La cosa bella è che hanno lavorato tante persone per un progetto che poi è soprattutto tuo. Certo l'hanno fatto per amicizia, ma anche per amore per il mestiere.
Quali sono stati i nuclei sia visivi che tematici che vi hanno ispirato per quanto riguarda la sceneggiatura? Mauro Casiraghi: Volevamo innanzi tutto raccontare il mondo degli adulti visto attraverso gli occhi di un bambino, ed è un mondo che fa paura. Da qui è nato il thriller psicologico, perché gli adulti sono anche spaventosi. La visione però è sempre quella soggettiva di Alessandro, e quindi la narrazione non poteva essere lineare. I bambini sono più visionari di noi adulti, per loro non esiste un confine netto tra realtà e sogno, e abbiamo voluto mettere in luce questa dimensione interpretativa.
Felice Farina: E' un viaggio ai bordi della coscienza, che si basa sul tema della verità sottratta. Il nucleo è quello di una tragedia classica, e lo scivolamento dei piani è un viaggio verso quei confini, aiutato dalla presenza dell'acqua.
Il significato del'acqua è quello che rimanda alla teoria Junghiana? Felice Farina: Certamente la circolarità Junghiana c'è, ma mai in maniera ideologica o intellettuale, ma come istinto.
Paola e Claudio, qual è il vostro rapporto con i bambini nella realtà?
Paola Cortellesi: Io per ora faccio la zia e quindi colgo solo l'aspetto giocoso, divertente della cosa, ma devo dire che, anche nei riguardi dei bambini, ho simpatie e antipatie come con gli adulti, anche a costo di essere impopolare. Ovviamente ho un occhio di riguardo per i miei nipoti, ma anche loro a volte mi stanno un po' antipatici, per poi fregarmi con gli occhioni alla "gatto di Shrek".
Claudio Amendola: Anche se sei genitore è la stessa cosa. Al terzo figlio ho capito che, se ne facessi un quarto, arriverei ad essere il padre perfetto. Ci vuole la giusta dose di severità e di complicità, mai di amicizia. I figli devono potersi fidare di noi, è inutile dire a un ragazzo che non deve bere la birra quando poi ci facciamo vedere sul divano con un bicchiere di whisky in mano. E poi bisogna ricordarsi di quando eravamo ragazzi noi, ma sempre mantenendo la distinzione dei ruoli. E' un mestiere difficile ma bello; proprio perché è così bello non poteva essere facile.