L'evento televisivo dell'anno è finalmente arrivato. Un doppio evento per noi italiani, perchè per la prima volta il pubblico del nostro paese ha potuto seguire, grazie a Fox, uno show americano in contemporanea con gli Stati Uniti: orologi puntati alle 6 di mattina, quindi, per poter seguire insieme agli spettatori americani il doppio finale di Lost dopo sei anni dal suo dirompente arrivo in televisione. Da quel settembre del 2004, la strada della serie si è fatta articolata e complessa, cervellotica ed a tratti inconcludente, fino ad una stagione finale, questa sesta, che diviso gli spettatori, deludendo buona parte di essi.
Diciamolo subito: il finale non salva la qualità della stagione, non potrebbe, non può. Ma Damon Lindelof e Cartlton Cuse, coadiuvati alla regia dal fidato Jack Bender, responsabile artistico dislocato alla Hawaii per tutta la serie, riescono a chiudere il cerchio quantomeno a livello emotivo: si tratta di emozioni facili, ma senza dubbio dovute allo spettatore affezionato, ottenute più sul passato che sul presente, allo stesso modo in cui i cinque minuti finali di Star Wars ep. III - La vendetta dei Sith le conquistavano mostrandoci il raccordo con la trilogia classica.
Narrativamente parlando, il doppio finale La fine porta a compimento le due storyline abbozzate nel corso dell'anno, quella dell'isola e quella dei flashsideways, spostandosi alternativamente tra i due livelli, intersecandoli a volte a livello logico.
La missione è semplice: letteralmente togliere il tappo dell'isola, lasciando prosciugare la sorgente dorata ed attivare il processo di distruzione del luogo. Jack è però convinto di poter avere la meglio sul suo avversario una volta che l'atto di Desmond, l'unico che può riuscire nell'impresa per la sua naturale immunità all'elettromagnetismo, è concluso, e così è: lo scontro è violento, sullo sfondo di un'isola che trema e crolla, ed il dottore riesce ad avere la meglio sul suo avversario grazie all'intervento provvidenziale di Kate.
E mentre le altre figure di contorno non stanno a guardare ed un gruppo di loro, composto tra gli altri da Sawyer e Kate, riesce a raggiungere, riparare ed usare l'areo Ajira per andare via dall'isola, ad un Jack ferito e stremato non resta che sacrificarsi per rimettere il tappo per cercare di interrompere il processo di distruzione, non prima di aver affidato ad Hurley il compito per il quale si era offerto volontario, quello di protettore dell'isola, confidando nella sua maggior qualità, ovvero quella di sapersi occupare del prossimo, con l'assistenza di un vice esperto quale Ben.
E' la parte che ci convince meno, che, come intuito dal precedente Per cosa sono morti, nulla aggiunge alla mitologia della serie, chiudendo soltanto il discorso già impostato in tutta la stagione, senza fornire ulteriori risposte agli spettatori, che dovranno accontentarsi dei venti minuti aggiuntivi annunciati per l'homevideo di prossima pubblicazione.
In quella che per comodità continueremo a chiamare realtà alternativa, invece, tutto converge verso il concerto tenuto da Daniel con l'accompagnamento dei Drive Shaft, con Desmond impegnato a provocare le epifanie di tutti i suoi compagni di sventura, mettendoli faccia a faccia con una realtà che non ricordano. Sono i momenti più riusciti dell'episodio, dall'ecografia di Sun per mano di Juliet, che rievoca quella già avvenuta sull'isola, al nuovo incontro tra Sayid e la rediviva Maggie Grace nel ruolo di Shannon, nonchè di Claire e Charlie: scene che si intrecciano con le immagini tratte dal passato della serie e che Michael Giacchino sa sottolineare ed enfatizzare, suscitando inevitabile commozione nel pubblico. Si tratta di immagini tratte dai momenti più intimi e quotidiani, quelli che hanno costruito le relazioni tra i personaggi, quelle che si sono sedimentate dentro di loro, rendendoli completi e capaci di andare avanti.
Ma andare dove?
La risposta sembra darcela il padre di Jack, che, da solo, apre la porta della chiesa e si immerge nella luce, facendoci tornare alla mente la celebre Purgatory Theory nata poco dopo l'inizio della serie e smentita dagli stessi autori: il mondo in cui li abbiamo visti muoversi nei flashsideways non è mai chiamato esplicitamente purgatorio da Christian Shepard, ma il senso è quello; un mondo emotivo e personale in cui tutti loro hanno cercato di reincontrarsi perchè solo insieme sono stati completi.
Siamo arrivati alla fine, a guardare il cerchio ormai composto e, inevitabilmente, nonostante i problemi, nonostante l'amarezza per la deriva dello show, emotivamente provati per l'addio ad una serie che ci ha accompagnati per sei lunghi anni. A noi spettatori di Lost non resta che assorbire quanto accaduto, rifletterci su, se ne avremo voglia e forza, per poi andare avanti. Siamo sopravvissuti alla fine de I segreti di Twin Peaks, a quella di X-Files e Buffy - L'ammazzavampiri ed a quella più recente di E.R. - Medici in prima linea, tutte serie che in un modo o nell'altro hanno segnato un'epoca. Sopravviveremo anche all'assenza di Lost e ci saranno altre serie che sapranno appassionarci e coinvolgerci.