Domenica 4 febbraio alle ore 10:30, Antonio Rezza, attore, regista, scrittore, performer, sarà al Cinema Teatro 4 Mori, a Livorno, per una matinèe in cui introdurrà la proiezione del suo ultimo film, Il Cristo in Gola.
Presentata al 40° Torino film festival quest'opera è orgogliosamente indipendente e provocatoria, proprio come il suo autore e interprete, Antonio Rezza, vincitore insieme a Flavia Mastrella nel 2019, del Leone d'Oro alla carriera per il Teatro, alla Biennale di Venezia. Dopo Samp, il film presentato come Evento Speciale alle Giornate degli Autori di Venezia, nel 2020, Rezza interpreta la figura di Cristo. Il film si sviluppa sullo sfondo di una suggestiva Matera, dove si muove un Gesù incapace di proferire parola. Una sorta di rockstar, interpretata dallo stesso Rezza, che compie i suoi miracoli solo attraverso urla strazianti e disperate.
Il film ha avuto una lunga gestazione, le sue riprese infatti sono iniziate nel 2004 e si sono protratte nel tempo. Nel film l'approccio alla figura del Nazareno è estremamente rispettoso, il figlio di Dio non dice una parola, non si rapporta all'uomo, che gli è inferiore, comunica solamente attraverso urla devastanti, che conducono le orecchie dell'uomo alla dannazione eterna. Un ruolo centrale è affidato alla Madonna, che segue il figlio durante la sofferenza terrena, accogliendo il figlio sulle sue ginocchia, sostenendolo malinconica.
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La visione di Cristo secondo Antonio Rezza
Tra un miracolo e l'altro il Redentore si affanna in un lavoro in legno che nel tempo darà il frutto della croce. Si costruisce la croce da solo sotto gli occhi amorevoli della Madonna. Spesso crolla esausto nella fibra e nel volere sulle ginocchia di Maria, trafitta dal dolore: si affloscia afflitto e caracolla come pasta frolla. La composizione dell'immagine rimanda a ogni scena scultorea e pittorica che abbia a che fare con la deposizione dal sepolcro. Le ginocchia di Maria sono la strada più comoda per gridare al mondo che nella parola e nei significati non c'è più futuro, che non saranno i concetti a renderci migliori ma la qualità delle urla verso il cielo. Un Cristo iconograficamente già morto quello di Rezza, che assale la vita e si smarrisce, che fa miracoli con la sola forza della disperazione: abbiamo l'uomo comune che si contorce sotto il peso della deformazione fisica e della tradizione, e un Cristo che lo guarisce senza toccarlo, con appena l'assillo delle urla rivolte al Padre Eterno che gravita nei cieli. La vicenda si alterna tra incontri con un demonio fuori da ogni schema e sacrifici, con Cristo che si fa la croce da solo poiché "ogni uomo va a finire sulla croce sua".
"Faccio un Cristo che non dice una parola, si tappa la bocca e la tappa al suo autore pezzente" scrive del suo film Rezza. "Mai sarò così meschino da raccontare con la mente malata ciò che il corpo alla mente ha sottratto, e cioè il significato: i miei gesti hanno tolto di mano il sapere al cervello imbroglione. Qui il problema non è il comunicare, qui la virtù sta nel fatto che quello che volevo dire non l'ho detto: l'azione si è ribellata alle suggestioni della mente incravattata. [...] Il film è filologico fin quando lo dirigo: Maria che partorisce, Giuseppe che sonnecchia, l'Arcangelo proclama, Erode manomette, Battista che sciacquetta. Il film è filologico fin quando lo dirigo. Ma quando mi dirigo mi scappa dalle mani perché io, oltre a quella di Dio, non riconosco neppure la parola mia".