Nel cuore della lavorazione di Principessa Mononoke, tra bozzetti dettagliatissimi e turni estenuanti, si nasconde una verità spesso dimenticata: quel film, oggi considerato una pietra miliare dell'animazione mondiale, ha sfiorato il disastro finanziario per una scelta (e una scommessa) di Hayao Miyazaki.
Principessa Mononoke e la scommessa folle di Miyazaki
A raccontarlo è David Encinas, uno dei primi animatori occidentali a varcare le porte di Studio Ghibli, che nel 1997 si trovò catapultato all'interno della creatura visionaria di Hayao Miyazaki. "Esercizi con la palla rimbalzante e disegno delle mani", ricorda Encinas, parlando delle basi che gli vennero richieste. "In meno di tre mesi ho imparato più di quanto avessi appreso in tutti gli anni alla Gobelins e alla Disney." L'esperienza di apprendistato sotto la guida di Miyazaki non fu solo formativa: fu un'immersione totale in una visione artistica così radicale da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa dello studio. Il budget, già enorme all'inizio (due miliardi di yen), salì fino a toccare i 2,4 miliardi. "Lo staff lo sapeva. Se Principessa Mononoke non avesse funzionato, Ghibli avrebbe chiuso", ammette Encinas.

Ma il maestro non era disposto a scendere a compromessi. Miyazaki stesso, con la sua consueta testardaggine poetica, dichiarò di non preoccuparsi nemmeno se il film avesse mandato in rovina lo studio. Il risultato? Un'opera colossale, un fantasy cupo e stratificato in cui umani e divinità animali si fronteggiano sullo sfondo di un mondo che brucia di bellezza e conflitto. Principessa Mononoke incassò più di 19 miliardi di yen in Giappone, diventando il film giapponese di maggior successo della storia fino ad allora. In America, dove raccolse circa 10 milioni di dollari, fu riscoperto più tardi grazie a re-release in IMAX e a una restaurazione 4K supervisionata da Atsushi Okui.
Quel rischio folle, alimentato da una visione senza compromessi, avrebbe poi aperto la strada al trionfo di La città incantata, il film che nel 2001 regalò a Ghibli il suo primo Oscar. Un'occasione per ricordare che, a volte, l'arte più grande nasce sull'orlo del precipizio.