Negli occhi di chi guarda
Parlare della bellezza di Roma è articolare una clamorosa ovvietà: basta fermarsi a "Roma". Mostrare la bellezza di Roma è quasi altrettanto semplice: basta dire "guarda". Celebrare la bellezza e l'unicità di Roma è un altro discorso, anche se significa unirsi ai ranghi di milioni di ammirati e sconvolti pellegrini e di milioni di orgogliosi cittadini, e farlo come ha fatto Paolo Sorrentino, anatomizzando, indagando e facendo sfolgorare questa incredibile città, è un altro discorso ancora.
Sorrentino la esplora attraverso un personaggio che nella sua buffa saggezza ricorda un po' l'improbabile cacciatore di nazisti Sean Penn di This Must Be the Place: enigmatico, affascinante e malinconico, Jep Gambardella ha scritto un unico romanzo acclamato decenni prima, e poi ha vissuto di rendita, immergendosi con raro zelo e determinazione nella vita dell'alta società capitolina: "Io non volevo solo partecipare alla feste, io volevo avere il potere di farle fallire." E allora, anche se non ha più scritto una riga a parte qualche articolo per periodici patinati, Jep è diventato un punto di riferimento intellettuale, un riverito arbiter elegantiarum, un protagonista delle cronache mondane e un mattatore delle sfrenate notti romane.
Ma quando rimane solo, poco prima dell'alba di un agosto senza pioggia, sulla sua scenografica terrazza che affaccia sul Colosseo, Jep si lascia lambire dalle onde del ricordo; un amore perduto chissà come, la grande bellezza tanto desiderata e ricercata fuggita per sempre. Riflette sul vuoto osceno delle persone di cui si circonda, prende in giro un amico che ha qualcosa da dire ma Roma lo seduce e lo mortifica e lo induce alla fuga, e incontra una spogliarellista ignorante e volgarotta e bella e triste che gli regala un po' di ossigeno, e la perde all'inesausta corruzione che impedisce alla grande bellezza di risplendere. Il percorso di Jep - ma anche il lucido progetto, l'estro e l'umorismo di Paolo Sorrentino - emerge gradualmente dal caos de La grande bellezza, dalla sua opulenta sfrontatezza, dalla sua frammentaria stravaganza. A unificare e definire, assieme al sottile viaggio emotivo dell'eroe interpretato dal solito immenso Toni Servillo, c'è la personalità ingombrante di Sorrentino, ancora una volta accentratore, prestigiatore e onnipresente intelligenza critica, che tesse un affresco impossibile e ingovernabile, commovente e fulgido. Ma basterebbe anche solo il suo sguardo su Roma a rendere La grande bellezza un film magnifico. Perché chiostri e giardini, monumenti e ruderi, volti disfatti e corpi palestrati, lo squallore e la gloria della Città Eterna sono ipnotici e maestosi come non li abbiamo mai visti attraverso lo sguardo di un regista visionario e senza paura.Movieplayer.it
4.0/5