Attrice, fotografa, poetessa. Emmanuelle Riva è un'artista a tutto tondo, oltre ad essere un'interprete ispirata e mai sopra le righe. Legata indissolubilmente al ruolo della donna senza nome in Hiroshima mon amour di Alain Resnais, ha saputo nel tempo mantenere fede al proprio stile sobrio, impreziosendo con la sua presenza elegante pellicole come Leone Morin, prete di Jean-Pierre Melville, Gli occhi, la bocca di Marco Bellocchio, Kapò di Gillo Pontecorvo, fino all'ultima straordinaria prova nella pellicola di Michael Haneke, Amour, Palma d'Oro 2012. Al fianco di un eccezionale Jean-Louis Trintignant, la Riva veste di panni di Anne, una maestra di musica che si ammala in maniera irreversibile e che viene seguita dal marito fino agli ultimi istanti di vita. L'abbiamo incontrata a Roma in previsione dell'uscita italiana del film, nelle nostre sale dal prossimo 25 ottobre grazie a Teodora e con lei abbiamo parlato dell'esperienza vissuta sul set di una delle opere più importanti della stagione. Un film che l'attrice ha amato con ogni singola cellula del suo corpo, senza farne mistero.
Signora Riva, per la delicatezza del tema narrato, Amour è un film che non può lasciare indifferenti...
Malattia e morte sono argomenti che riguardano tante persone. Mi sento fortunata ed onorata ad essere stata scelta da un regista straordinario per un ruolo straordinario. Non capitano delle parti del genere quando si raggiunge la mia età, bisognerebbe essere dei matti rifiutare un'opportunità così.
C'è qualcosa nel copione che l'aveva in qualche modo frenata?
No, ho sentito subito nel profondo che sarei stata in grado di interpretare Anne e non lo dico per megalomania. E poi, se anche un cineasta come Haneke mi ha scelta, evidentemente sapeva che avrei potuto farcela e semmai avessi avuto timore, ero cosciente che ci sarebbe stato lui a guidarmi.
Non vorrei mai giudicarlo, questo è chiaro, ma penso che lui agisca solo ed esclusivamente per lei, perché non avrebbe mai potuto sopportare la sofferenza della moglie. Ad un certo punto del film è chiaro che sia la stessa moglie a voler morire, tentando di gettarsi dalla finestra, ma il marito la salva. Le sta vicino, mantiene fede alla promessa di non portarla mai in ospedale, si prende cura di lei. Poi, quando la situazione si aggrava e diventa insopportabile, cambia tutto. Ci sono tante persone che ogni giorno devono confrontarsi con questo tipo di scelte e non dirò quale sia la cosa giusta da fare. Nel nostro caso Georges fa quello che andava fatto. La scena in questione è un vero capolavoro. Il marito sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma non quando e come. Quel gesto è la realizzazione massima dell'amore.
Trintignant ci ha raccontato del 'metodo' Haneke sul set, ossia di una recitazione senza ricorrere all'emotività...
E' quello che mi ha detto dopo una delle prime scene che abbiamo girato. Michael sosteneva che fosse troppo dolce e tenera e non voleva che trasparissero sentimentalismo o emozioni. Dovera essere giusta, trattenuta. Questo approccio mi ha dato certamente maggiore libertà d'azione, è stato una luce che mi ha guidata. Personalmente mi trovo meglio così, perché riesco ad evitare la caricatura.
Capisco che questa cosa possa risultare complicata, vedendola dall'esterno, ma per un'attrice non è difficile lavorare ad un ruolo del genere, è solo molto, molto interessante. E' stato davvero appassionante trasformarsi e ogni attore vorrebbe avere la possibilità di fare lo stesso percorso che ho fatto io, l'importante è che la trasformazione esteriore vada di pari passo a quella interiore. Quando la mia bravissima truccatrice vietnamita mi ha truccato da morta, ero pronta ad arrivare a quella fase. All'inizio mi dimenticavo di avere il braccio destro bloccato e mi capitava di muoverlo e allora Haneke mi diceva di stare attenta, altre invece andavo in giro sul set con il braccio paralizzato, anche se in realtà potevo muoverlo.
C'è stato uno studio da parte sua sulla postura delle persone paralizzate?
All'inizio si era parlato di andare in ospedale per vedere davvero i malati, ma abbiamo desistito. E' stato il regista a dirmi come muovermi e se trovi qualcuno da imitare non è affatto complicato, si può agire meccanicamente, ma ripeto l'esterno deve fondersi con l'interno. Mentirei se dicessi che è stato divertente, ma è un lavoro che mi ha appassionato tantissimo. E poi, finito il lavoro sul set, tornavo ad essere quella che sono. Anne non è venuta a casa con me.
Lei che ha vissuto gli anni del grande cinema europeo, che giudizio ha del cinema attuale?
Non sono la persona più adatta a rispondere perché non vedo molti film e non ho grossa conoscenza dell'argomento. Sento però che tutto è cambiato, in peggio aggiungerei, e che il cinema riflette i tempi orribili che viviamo. Fortunatamente però ci sono dei grandi talenti, tra cui tante donne e questo non può che farmi piacere. Sono felice se riescono ad esprimere quello che hanno dentro.