È nelle sale italiane da giovedì la trasposizione animata di Zanna bianca, il celebre romanzo di Jack London speculare all'ancor più famoso Il richiamo della foresta, e chi lo ha già visto avrà riconosciuto la voce narrante, ricca ma per nulla invadente, che raccoglie alcuni passaggi del racconto mentre l'avventura emozionante e avvincente del cane lupo costretto a vivere tra gli umani nello Yukon degli anni della corsa all'oro si dispiega sullo schermo: è quella di Toni Servillo, che torna a cimentarsi con l'animazione dopo aver prestato la sua voce all'Aviatore in un'altro adattamento di un classico, Il piccolo principe.
Come tantissimi lettori, distribuiti su diverse generazioni, anche Servillo è stato conquistato da Jack London in gioventù: "Fu una lettura indimenticabile. Non ho più quella copia del libro, ma ricordo ancora la casa in cui lo lessi". Lo abbiamo incontrato a Roma in occasione della presentazione del film e ci ha parlato della sua esperienza di doppiatore/narratore, delle emozioni che gli hanno dato le pagine di London e della sua opinione sulla ricezione del film di Espigares - qui potete leggere la recensione di Zanna Bianca - da parte del pubblico dei giovani.
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London e il cinema d'animazione, una sfida tutta da vincere
Anni fa James Earl Jones, la voce di Mufasa ne Il re leone, disse che dare la voce a un personaggio in un film di animazione lo faceva pensare alle maschere del teatro greco. Lei si riconosce in questa visione?
Se non sbaglio nella versione italiana Mufasa era Vittorio Gassman e lui è stato un grande Edipo, ma io non sono uno specialista, anzi devo dire che quando indosso la cuffia e sono davanti allo schermo con i minuti che scorrono mi tremano un le gambe forse più di quando vado in palcoscenico, per il quale ormai ho una consuetudine che però non mi mette al riparo dalla paura della scena - ma quella è bene sempre averla. Ho un grande rispetto per un altro aspetto del nostro mestiere che è il doppiaggio; non ho una grande esperienza perché ho fatto due ruoli da doppiatore prima di Zanna bianca, il poeticissimo Aviatore de Il Piccolo Principe e Bagheera ne Il libro della giungla. Con Bagheera, come molti papà della mia generazione, ho cresciuto i miei figli, per cui è stato bellissimo farlo.
Il piccolo principe e Zanna bianca hanno in comune secondo me un valore aggiunto - anche Il libro della giungla ma per aspetti diversi - che è quello di appartenere alla grande letteratura. Zanna bianca è un libro che buona parte degli uomini e le donne della mia generazione - e lo dico con orgoglio perché leggere è meraviglioso - hanno letto o avuto tra le mani da ragazzi. Scoprendo un grande scrittore; nel mio caso o in quello della mia generazione l'incontro con London portava alla scoperta di una grande letteratura, la letteratura americana: da Zanna bianca a Il richiamo della foresta, per arrivare a quel capolavoro che è Martin Eden, per arrivare a scoprire Francis Scott Fitzgerald, Hemingway, tornare indietro a Walt Whitman e ancora avanti fino a Philip Roth. Un intero universo di cui Jack London ti da l'imprinting, come leggere Il gattopardo a quindici anni ti da l'imprinting per scoprire la letteratura siciliana, da Brancati a Sciascia e così via.
L'augurio che c'è di fronte al coraggio dei distributori di un film di animazione così particolare, coi ragazzini che lo vanno a vedere che sono i primi ad accorgersi che gli animali non parlano - perché comincia a essere un tantino stucchevole l'animale che parla come un bambino viziato e ha gli stessi gusti e gli stessi interessi di un bambino viziato di oggi - l'augurio è che le mamme, i papà, i nonni accompagnino i ragazzini a vedere questo film facendogli scoprire anche un grande scrittore. Questo secondo me è molto importante. Il film è un film d'animazione che guarda a una tradizione del passato dal punto di vista figurativo, anche se fatto con mezzi moderni, nel senso che non impone la strizzata d'occhio che sembra richiesta dalla modernità, e lo fa perché rispetta un grande classico che c'è alle spalle, un classico che invita, attraverso l'avventura di questo piccolo lupo che poi diventa un giovane adulto cane lupo - e questo credo che sia il segnale più bello che mi auguro arrivi dalla visione del film, anche a livello inconscio, poi i ragazzini ne faranno quello che vogliono - a non essere spettatori della vita.
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Noi viviamo immersi in un universo in cui siamo solo spettatori. La vita la guardiamo, non la viviamo. Invece questo lupo che attraversa questo mondo meraviglioso e misterioso che è la natura - con tutta la simbologia che c'è dietro questa natura fatta di bellezza ma anche di intrighi, sorprese, paura, coraggio, etc., prende il proprio destino tra le mani e vive. Il problema è essere vivi. Un genitore che porta un bambino a vedere un film del genere può cominciare ad affrontare l'argomento della bellezza e l'importanza di sentirsi vivi piuttosto che spettatori della vita propria o della vita altrui. E non è un caso che un film del genere venga da una produzione europea: crede ancora in maniera meno maliziosa che in altre circostanze che ci sia una possibilità di intrattenere con semplicità e con intelligenza.
Queste sono le ragioni per cui faccio Zanna bianca, poi c'è il fatto che il ruolo di "narratore" mi permette di leggere passaggi di London. C'è un momento del film in cui ci si rende conto di essere di fronte a grande letteratura: il lupacchiotto e sua madre camminano nella foresta, e London racconta lo stupore di questo cucciolo che si guarda intorno e comincia a intravedere anche la sensazione che nel suo animo cominci a prendere piede la riflessione che su questa Terra siamo di passaggio, che tutto quello che c'è intorno a noi di misterioso - per qualcuno di sacro - incomprensibile, o comunque difficile da conquistare, da comprendere, resta quando noi non dci siamo più. Noi passiamo. Siamo caduchi. O è una parola troppo difficile, caduchi? Magari qualcuno pensa che sia un refuso, detto con il massimo rispetto per la vostra professione...
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Rispetto ai moderni film di animazione, lei non teme che in qualche modo un film come Zanna bianca possa essere visto come un passo indietro, o che sia più difficile da capire per i ragazzi di oggi che sono abituati a un linguaggio diverso?
A volte un passo indietro è necessario, non è detto che sia una cosa negativa. Anzi secondo me negativo è pensare che la vita sia soltanto un guardare verso il futuro, alle novità, alle sorprese, al "progresso progresso progresso", senza nessuna capacità di guardarsi indietro. Io credo che una delle prima condizioni per un ragionamento sano sia proprio il colloquio che c'è tra il passato e il futuro. Questo film guarda con sincerità a un cinema d'animazione che l'ha preceduto: a me personalmente ha fatto pensare a Bambi, a certi topos del racconto che nel bambino possono produrre un piccolo trauma che poi è quello che dovrebbero produrre tutte le fiabe. In questo senso guardarsi indietro non è sbagliato, altrimenti dovremmo ipotizzare che non sia più utile raccontare ai bambini Hansel e Gretel o Pollicino. Da'altra parte non faccio nemmeno il discorso passatista, e trovo meravigliosi i film della Pixar; trovo che sia bello avere delle alternative, che non tutto sia raccontabile in un solo modo, perché onestamente non ci credo, né nel cinema né nella letteratura, né nella televisione o nelle arti figurative. Quindi non credo neanche che i ragazzi "ormai siano abituati a": è responsabilità di un adulto dare l'opportunità a ragazzi di esplorare un paesaggio il più vario possibile. "Ormai sono abituati a" se i ragazzi hanno un unico modello di riferimento, quello sì.
Siamo nell'era dei social network, in cui tutti condividiamo, ci assomigliamo e ci sforziamo di assomigliarci, lei crede che questo ci renda "spattatori della vita"?
Guardate, io non ho neanche un indirizzo email e non lo dico per vanteria. Non mi piace l'dea di ergermi a maestro, ma c'è sicuramente un rischio nella velocità meccanica con cui ci si mette in relazione a un evento o a un pensiero; una velocità che fa passare certi passaggi che sono quelli della riflessione. Dietro questo c'è qualche cosa che sgomenta, e i segnali più evidenti di questo salto della riflessione sono immediatamente riconoscibili nella corruzione del linguaggio. Il linguaggio ci fa capire se una persona è corrotta dal punto di vista del ragionamento, perché parla male, o usa il linguaggio in maniera impropria. Zanna bianca offre un racconto piano, semplice, preciso. L'attore fa riferimento a tutto se stesso nel suo lavoro, ricordi ed emozioni comprese, nella ricerca dell'efficacia espressiva con cui rendere un testo, non c'è distinzione tra la voce e il corpo, ma la voce è l'elemento espressivo che da sostegno alle parole, e se le parole hanno un livello di concentrazione di pensiero alto, il modo in cui si mette a disposizione la voce a quelle parole e quindi a quel pensiero deve essere responsabile. Io ho avvertito questa responsabilità essendo stretto con la mia voce tra un grande scrittore come Jack London e la necessità di portare questo scrittore nel cuore di bambini dai sei ai dodici anni. La voce è molto importante in questo senso.
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Nella foresta della vita
Ci racconta più in dettaglio come è stato ritrovare Zanna bianca tanti anni dopo aver letto il romanzo?
Arriva una proposta di Pincopallino dinanzi alla quale ti domandi, ma perché? Se è Zanna bianca, ti riporta alla lettura da ragazzino: ricordo la casa in cui lessi il romanzo, ricordo persino l'edizione. La dimensione più commovente nel rileggerlo o nel doppiarlo è corrisposta a quel momento di cui parlavo prima, quella passeggiata silenziosa della lupa e del lupacchiotto con questa scoperta del mistero della vita simboleggiata da questa grande foresta, con la consapevolezza nascente che quando avrai attraversato quel mistero lui ci resterà e tu non ci sarai più. La vita è una sola ed è meglio spenderla che assistervi.
Parlava prima della sua emozione, della tensione in cabina di doppiaggio...
Io non ho una grande esperienza, ma ho avuto un'ottima esperienza con i direttori del doppiaggio: sono dei vero e propri registi. Sanno perfettamente quali sono le indicazioni da darti perché tu sia più efficace. Se hai a disposizione un minutaggio di venti secondi e una frase di otto righe, la sfida non è fare stare otto righe in venti secondi, ma farlo essendo efficace sul piano espressivo, essendo commovente, o più riflessivo, e allora più capitare che ti allarghi su un dittongo o che ti restringi... senza addentrarci troppo nelle cose tecniche, questo mi ha fatto capire che sempre di più che - anche se sarebbe meglio vedere i film non doppiati per ragioni legate alla efficacia del film come è nato - noi in italia abbiamo dei doppiatori capaci di entrare nell'anima del film, rigenerandolo. La difficoltà è essere efficaci sul piano espressivo, far passare una serie di sentimenti dentro un recinto che è il tempo che scorre. Qui ero un po' più libero in quanto narratore, ma quando doppi un personaggio è anche più restrittivo. Non mi è mai capitato di doppiare me stesso perché per fortuna lavoriamo sempre in presa diretta, il massimo che mi capita di doppiare è qualche "hmm", o qualche sospiro che non è venuto bene perché magari è passato un camion dell'immondizia proprio in quel momento. Ma capita raramente perché facciamo tutto in presa diretta, anche questa è la bellezza del cinema.
Servillo tra teatro e cinema, aspettando Pinocchio
La bellezza del cinema, però il teatro resta il suo mestiere principale.
Sì, so che fanno gola i confronti, meglio il teatro o il cinema... ma per me è una questione di frequentazione, da quando avevo diciassette anni penso al teatro e lo faccio quotidianamente. Il mestiere dell'attore a teatro lo mette in relazione intima e costante con il personaggio, mentre il film è un'avventura straordinaria che si concretizza in due mesi o anche meno, anche nella tua relazione col personaggio. Io dico sempre che sono due discipline molto vicine ma sono come marito e moglie che dormono in camere separate; due cose molto diverse con delle affinità. Coltivarle contemporaneamente, se si ha questa opportunità, è una ricchezza e mi sembra che il cinema italiano da un po' di tempo guardi con interesse a chi il teatro lo pratica. Quello che non amo è che il teatro sia visto come un'anticamera del successo cinematografico, o i pacchi che gli attori cinematografici affibbiano agli spettatori teatrali facendo una serata coi medley delle loro cose più famose.
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Sono due anni che porto uno spettacolo in giro per il mondo sulla figura di Louis Jouvet, che è stato tra i due, tre attori più grandi del secolo scorso, che era il rappresentante della massima nobiltà della professione dell'attore però era contemporaneamente l'attore più popolare del cinema francese, celebre per le serie del Dr. Knock fino ai film con Renoir. La nobiltà del mestiere non sempre è chiusa dentro una torre d'avorio. E Jouvet era anche un grande pedagogo, infatti lo spettacolo che metto in scena è incentrato su sette lezioni di recitazione a una giovane allieva che deve interpretare il monologo di Elvira nel quarto atto del Don Giovanni di Molière. Insomma, mettiamola banalmente: d'inverno faccio il teatro e d'estate il cinema.
Le manca ancora la televisione.
Non ho mai avuto una proposta che ho trovato davvero convincente, non ho snobismo nei confronti della televisione. Certo non posso esimermi dal dire che sono così fortunato ad avere una mia compagnia di teatro, a proposito di prendere il proprio destino tra le mani, da quando avevo diciotto anni mi sono fatto il mio teatro con la mia compagnia, non ho aspettato che qualcuno venisse ad ingaggiarmi. Avendo la possibilità di fare un teatro che amo e poter scegliere i film che faccio, forse non avrei nemmeno tutto questo tempo per dedicarmi a dei lunghi progetti televisivi, ma se arriva una cosa interessante al livello di certa grande televisione che ho visto nel passato e che mi ha formato... facciamo qualche esempio, Heimat, Berlin Alexanderplatz, per citare due opere tedesche che ho molto amato, allora perché no. C'è stato un periodo in cui la televisione italiana aveva una conversazione straordinaria col pubblico. Umberto Orsini ricordava che quando passava I fratelli Karamazov in televisione lo vedevano venticinque milioni di persone. Ora è vero che c'erano solo due canali, ma venticinque milioni! Editorialmente la televisione era diversa, anche negli obiettivi di formazione. La mia generazione quando pensa a Dimitri pensa a Corrado Pani, rileggendo il romanzo rivedi quella bellissima faccia e questo dialogo aiuta, come quando Manzoni si occupava delle illustrazioni dell'edizione del 1840 de I promessi sposi, proprio come un regista.
A proposito di immagini, sta facendo l'adattamento di una graphic novel, 5 è il numero perfetto.
Sì, ho finito. Dopo quindici anni finalmente questo progetto sta andando in porto, è davvero straordinario il lavoro di Igort che aveva creato con questo magnifico tratto grafico, questa storia ambientata a Napoli negli anni '70, dando al personaggio che interpreto nel film, quello di Peppino Lo Cicero, una sostanza, una umanità, una forza, una genuinità che avrebbero sedotto qualsiasi attore. Non ho avuto un problema di trasferimento dal disegno alla recitazione perché Igort come regista è andato oltre il suo splendido segno grafico, ha avuto la sensibilità di usare il suo fumetto come una magnifico storyboard ma di pensare il progetto come un film, e gli auguro ogni successo.
E rimanendo nell'ambito della narrativa per ragazzi, tornerà a lavorare con Garrone per Pinocchio?
È ancora tutto da vedere, Matteo sta preparando il film e potete immaginare che è un lavoro impegnativo, ma è anche così bello che un grande regista come Matteo, con il quale ho condiviso una delle più belle esperienze della mia vita facendo Gomorra, sia impegnato in una sfida così difficile, affrontando questo testo consegnato a tutte le culture possibili, più di Zanna bianca: Pinocchio è diffuso quasi quanto la Bibbia, e quasi altrettanto ricco. Ci vuole un genio come Matteo per affrontare questo materiale. Però non si sa ancora nulla sull'inizio delle riprese, quindi non posso dirvi nulla, io ho i miei impegni e ci saranno da conciliare un po' di cose; ma sono in contatto con Matteo, anche perché gli voglio bene e lo stimo, e sono pronto a fare qualsiasi cosa nel film.