Il calcio di una volta, e poi l'importanza della scrittura, dei personaggi, della gentilezza e della perseveranza. Zamora di Neri Marcorè ha girato l'Italia, facendo tappa anche al SAFF - Sant'Agata Film Festival, prima di arrivare nel catalogo di Sky Cinema. Un'esordio alla regia applaudito, apprezzato e decisamente compiuto, nei toni e negli umori delicati di una storia liberamente ispirata all'omonimo romanzo di Roberto Perrone, con protagonista Walter Vismara (Alberto Paradossi), trentenne che, dalla provincia, si ritrova a lavorare nella Milano degli Anni Sessanta. L'unico modo possibile per integrarsi, è fingersi tifoso dell'Inter e, all'occorrenza, spacciarsi anche per ottimo portiere. Peccato che lui non sappia nemmeno come sia fatta una palla, e allora in vista delle partitelle tra impiegati decide di prendere "ripetizioni" da un'ex portiere finito in disgrazia (interpretato dallo stesso Marcorè).
Zamora, che andrebbe (ri)visto per la cura estetica (menzione speciale alla fotografia di Duccio Cimatti e alla musiche di Pacifico), per le molteplici letture - del resto, il cinema sportivo esalta lo storytelling -, e per l'assoluta grazie registica dimostrata da Neri Marcorè, è uno dei tanti (e necessari) esordi alla regia di attori (amati) divenuti (anche) registi.
Abbiamo incontrato Neri proprio a margine del Sant'Agata Film Festival, dove si è soffermato sui motivi che l'hanno spinto a passare dietro la macchina da presa: "Credo sia abbastanza naturale che chi fa questo mestiere poi abbia voglia di misurarsi con la regia e quindi con la direzione di un'orchestra, dovendo gestire tanta energia. È un po' come la metafora nel calcio, chi è calciatore prima o poi magari può diventare allenatore. Poi non è detto che un bravo attore sia anche altrettanto un bravo allenatore, a volte è all'opposto, a volte si può essere dei fuori classe in campo e magari degli allenatori scarsi o viceversa. È stata una delle tante sfide che l'essere artista comporta. A me è piaciuto farlo, e arrivarci in un momento di maturità artistica dopo aver fatto parecchi film come attore".
Neri Marcorè, Zamora e un film da recuperare: l'intervista
Come detto, Zamora, partendo dal Festival di Bari ha fatto tappa in tutti i cinema d'Italia, accompagnato dalla presenza costante di Neri Marcorè. "Il pubblico ha apprezzato il film, sono arrivati tanti commenti, tante **riflessioni", spiega il regista. "Ognuno poi ha messo la propria interpretazione, ed è giusto che sia così, perché un film comunque si pone all'attenzione dello spettatore. Un po' come può essere una poesia, che può evocare delle emozioni, delle sensazioni, dei ricordi che ognuno poi pesca nella propria vita personale. Quindi ha una valenza diversa per ognuno di noi. Sono contento sia arrivato a destinazione".
La cornice dell'opera è quella calcistica, ma qual è il rapporto di Marcorè con lo sport più amato? "Il calcio fa da sfondo in Zamora per far emergere poi le personalità dei vari personaggi. Il calcio può essere inteso come una grande metafora, perché in effetti tutti quanti sappiamo di cosa si parla, anche chi non lo segue sa che cos'è. Si dice che il carattere di una persona, si vede addirittura quando uno scende in campo. Lì merge la nostra vera natura, anche per chi appunto il calcio non lo segue. Oggi è un calcio meno poetico, più danaroso, più milionario, anzi addirittura si arriva ad eccessi, per cui ha perso un po' quell'aspetto romantico che forse aveva negli anni '60, '70. Però è in dubbio che la componente dell'imprevisto è comunque quella cosa che continua ad attrarre di questo sport, nonostante a volte assistiamo a partite molto noiose".
Zamora, la recensione: l'esordio di Neri Marcorè? Garbo, umorismo e il calcio che spiega la vita
Un pensiero sulla nuova Legge Cinema
Con Neri Marcorè abbiamo anche discusso della discussa nuova Legge Cinema, che minaccia soprattutto i nuovi autori. Per il regista: "La nuova legge sul cinema meriterebbe di essere discussa insieme a chi il cinema lo fa, perché mi sembra ci sia un atteggiamento sbagliato nei confronti di un mondo che viene percepito in maniera errata. Come se il cinema fosse semplicemente fatto di divi e dive che viaggiano in limousine e ricevono compensi milionari per la loro opera che poi non sempre riporta dietro gli stessi soldi che sono stati investiti. Questo può anche essere vero in certi casi, ma non significa che bisogna punire chi fa cinema, perché questa legge, a mio avviso, penalizza soprattutto chi la strada ancora non l'ha fatta. I giovani registi, le giovani produzioni, quelli che si devono fare strada e farsi conoscere. La trovo una legge iniqua, che sostiene chi ha già le spalle coperte. Penso che si possa migliorare, dovrà esserci un confronto prima di entrare così a gamba tesa per usare una metafora calcistica. Se si vuole che poi il cinema rappresenti la cultura italiana".
Poi, un riferimento alla Francia: "Basta guardare per esempio alla Francia, che è un paese vicino e che rispetto al cinema ha un atteggiamento completamente diverso. Senza arrivare al protezionismo ha messo in campo delle misure che possono far emergere appunto la cultura, la mentalità francese. Penso che se la stessa cosa venisse fatta in Italia, probabilmente si arriverebbe a un'equità maggiore. Tutte le situazioni possono migliorare, però credo che questa scorciatoia che è stata trovata sia la maniera sbagliata per farlo".