Non inizia certamente con X-Men: Dark Phoenix l'avventura di Simon Kinberg nell'universo dei mutanti Marvel: alla sua prima regia del franchise, come successore niente meno che di Bryan Singer che ha firmato il precedente (e deludente al botteghino) X-Men: Apocalypse, il cineasta londinese, candidato all'Oscar qualche anno fa per la sceneggiatura di The Martian di Ridley Scott, aveva esordito nella serie realizzando lo script di X-Men: Conflitto finale, nel 2006.
In quel film, diretto da Brett Ratner, compariva proprio l'arco narrativo della Fenice Nera, uno dei più importanti della storia fumettistica di degli X-Men, ma anche una delle più popolari saghe a due dimensioni di tutti i tempi: scritta da Chris Claremont, fu pubblicata nell'ambito degli Uncanny X-Men fra i mesi di gennaio e ottobre del 1980. Nella sua chiacchierata con noi, Kinberg ammette di non essere stato soddisfatto di quel trattamento della storia della Fenice in Conflitto finale, e ci racconta di aver visto nella possibilità di scrivere e dirigere il successore di Apocalypse la chance per rendere giustizia alla tragica ed emozionante parabola di Jean Grey (che in Conflitto finale era interpretata da Famke Janssen, mentre nel nuovo ciclo ha le sembianze di Sophie Turner), che, liberata improvvisamente dai vincoli psichici che le sono stati imposti da Charles Xavier, si trasforma nell'essere più potente e più pericoloso dell'universo.
Il ritorno della Fenice
La saga della Fenice Nera, che ha ispirato e affascinato Simon Kinberg sin dai suoi esordi come sceneggiatore - a proposito, qui potete leggere la nostra recensione di X-Men: Dark Phoenix - ha certamente grandissime potenzialità dal punto di vista scenico e psicologico, e ha rappresentato per il cineasta anche un'occasione per tornare ad "avvicinarsi ai personaggi" dopo la spettacolarizzazione un po' freddina di X-Men: Apocalypse. Ma scopriamolo dalla sue parole: