Uno dei suoi eroi è Frederick Wiseman, lo definisce "un visionario" oltre a essere uno dei suoi più cari amici, ha visto quasi tutti i suoi documentari e adora il modo in cui espone allo spettatore la propria personale visione della realtà. È un accanito esploratore del reale, ossessionato dalla ricerca della verità a tal punto da aver dedicato a questa urgenza quasi un'intera carriera e oggi il premio Oscar Errol Morris (The Fog of War, The Unknown Known) è pronto a tornare con una mini serie, Wormwood (in onda su Netflix dal 15 dicembre), che mescolando la ricostruzione con attori (Peter Sarsgaard, Molly Parker, Christian Camargo e Scott Shepherd) all'indagine giornalistica, segna il suo debutto nel mondo della serialità.
I sei episodi ricostruiscono i fatti che portarono alla morte del Frank Olson, il biologo che il 28 novembre 1953, dopo essere stato coinvolto dalla Cia in alcuni esperimenti segreti sull'LSD, si sarebbe suicidato lanciandosi dal tredicesimo piano di una stanza d'hotel a New York. La versione del suicidio non convinse mai i suoi figli, in particolare Eric Olson che Morris sottopone nella serie a una intervista fiume. Ecco cosa ci ha raccontato alla scorsa Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia dove Wormwood (in italiano "assenzio", la parola che Amleto ripete tra sé e sé nell'atto III della tragedia shakespeariana e che Morris ha preso in prestito per il titolo) è stata presentata in anteprima.
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L'ostinata ricerca della verità
Cosa la attraeva di questa storia?
Quella di Frank Olsen è una storia interessante e un mistero incredibile, ma ciò che mi affascinava di più era capire cosa fosse realmente successo e perché. E' una storia intricata e coinvolgente; il suo immenso appeal consiste nel fatto di non essere una sola, ma una moltitudine di storie: è Amleto, è la storia di Eric e delle sue domande rimaste senza risposta su cosa sia veramente successo a suo padre, è una storia sull'America, su una bugia istituzionalizzate e sulla sua rappresentazione. Ed è tante altre cose ancora; è incredibilmente ricca e preziosa e sono molto fortunato a farne parte.
Ed è anche una storia sulla ricerca della verità e sul suo significato nell'era post-moderna...
Sì, viviamo nell'epoca della post verità, ma la verità è ancora lì: non importa cosa le persone cerchino di fare per difenderla o negarla. La verità è la verità, oggi un sacco di politici parlano di verità, fake news e cose del genere, ma nulla è cambiato. Ho appena finito di scrivere un libro proprio sul bisogno di verità, che uscirà a fine anno.
Abbiamo un presidente degli Usa che dice che i media mentono deliberatamente al pubblico ed è così assurdo; non ci sono parole per descrivere tutto questo.
Wormwod è il racconto della falsa storia creata dalla Cia sulla morte del padre di Eric; volete chiamarla fake news? Fate pure, diciamo allora una fake story abbastanza efficace perché la gente ci credesse. Hanno creato una storia che persistesse e fosse convincente. E solo cercando di fuggire da quella storia, capiremo perchè è stata inventata, cosa volessero raggiungere e quale sia la verità.
Frank Olsen è stato buttato giù da quella finestra dalla Cia.
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Un viaggio tra realtà e ricostruzione
Come mai ha deciso di utilizzare questa commistione di realtà e finzione?
Non credo che una serie o un film siano irreali e che le interviste siano più reali. Quello che intendo dire è che quando guardi il mondo là fuori cerchi di dargli un senso mettendo insieme vari pezzi. Ricordo le critiche a La sottile linea blu per l'uso della cosiddette ricostruzioni; le scene ricostruite sono strane, ma non stanno lì per mostrarti cosa è vero e cosa è falso, sono lì per farti pensare a ciò che è evidente. Ricostruire un crimine o alcuni aspetti di esso ti permette di pensare a quello che realmente è accaduto.
È più difficile dirigere degli attori professionisti o intervistare delle persone comuni?
Credo sia la stessa identica cosa, in tutti e due i casi si tratta di dirigere e ottenere delle buone performance de Eric, da Peter e da Molly. Cerchi cioè di portare alla luce una storia che coinvolga la gente. Non avrei mai immaginato di dirlo, ma mi ritrovo a sostenere spesso che l'unica differenza tra persone reali e attori è che le persone possono recitare e questo è a suo modo davvero strano e magico. Probabilmente perché recitare è come parlare e stare al mondo essendo se stessi, è qualcosa di inconsapevole.
Dirigere qualcuno è come ascoltare e quello che non ho mai cercato di fare è tentare di correggere un attore prima che facesse qualcosa; interferendo troppo, rischi solo di distruggere la performance. Quindi aspetto di vedere cosa viene fuori; come succede in un'intervista, si tratta solo di creare una situazione in cui le persone vogliono darti qualcosa.
Donald Trump è un bravo attore?
È un pessimo attore, ma interpreta benissimo la parte dello stronzo. Ne sono convinto.