Un inno all'incanto, al potere visionario dei sognatori, alla magia dell'immaginazione. La nuova creatura di André Nemec e Josh Appelbaum, di cui ci accingiamo a parlare nella nostra recensione di Wonder Park, il duo che negli anni ci ha accompagnato tra missioni impossibili e tartarughe ninja, segna la loro prima incursione nel territorio dell'animazione. Un film per bambini che parla il linguaggio della slapstick comedy e che guarda alle corse rocambolesche della storica Looney Tunes, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi comprimari.
In sala dall'11 aprile il mondo di "Meravigliandia" celebra la fantasia, lo stupore, la meraviglia. Crescere conservando l'ingenuità del sentire anche davanti agli imperativi sociali, anche quando la realtà prende inevitabilmente il sopravvento: è il monito di questo racconto di formazione.
Una trama da favola edificante
Inevitabile rintracciare nella trama di Wonder Park un sottotesto educativo: educare alla libertà e al piacere della narrazione attraverso il viaggio di una bambina prodigio di appena otto anni, June, genio della matematica, occhioni verdi, instancabile creatrice di mondi immaginari. Pesci volanti, montagne russe, giostre che sfidano le leggi della gravità, animali parlanti, tentacolari ragni-robot: è il parco divertimenti che June ha costruito dando vita alle storie inventate con sua madre. A occuparsi di Wonderland è lo scimpanzé Peanut, una vera pop star, che con tanto di penna magica dà forma ai voli della mente; lo accompagnano due esagitati castorini (doppiati nella versione italiana dalla coppia comica di Gigi e Ross), un buffo porcospino addetto alla sicurezza (con la voce di Francesco Facchinetti) e l'efficientissima Greta, un cinghiale che fa rigare tutti dritto.
Quando però la mamma di June si ammala, la piccola eroina smetterà di sognare e Wonderland precipiterà nel caos, sotto la minaccia incombente dell'Oscurità. L'unica a poterlo salvare sarà proprio lei, che l'ha creato e poi dimenticato, seppellendolo in un angolo remoto della mente laddove giacciono le speranze, la poesia della sorpresa, la bellezza dell'innocenza.
Wonder Park si presenta come un racconto stratificato e si presta a diversi livelli di lettura: un film per tutti che è anche una favola edificante, storia di formazione e racconto di avventura che introduce nella narrazione per bambini il tema della perdita.
Dentro si mescolano echi della tradizione animata giapponese ed elementi tipici dell'animazione moderna: l'accurata introspezione psicologica, l'esplorazione di una materia volubile come quella dei sentimenti, l'incursione nella mente e nel mondo sensoriale dei personaggi, il registro più leggero affidato in questo caso alla dirompente comicità dei castori Gus e Cooper e del porcospino Steve, con i quali il doppiaggio italiano funziona alla perfezione dettandone ritmo e cadenza.
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June: un personaggio da Alice nel paese delle meraviglie
Il pensiero corre all'impietoso paragone con Inside Out, di cui Wonder Park rimane una copia sbiadita, una versione meno empatica e più semplicistica, dettata forse dallo stesso target di riferimento: il pubblico dei più piccoli. Nonostante si imponga il tema della malattia e il personaggio di June non lesini una sua complessità nella lenta metamorfosi che da Alice nel paese delle meraviglie la porterà a trasformarsi in una ragazzina alle prese con la perdita dell'innocenza e l'irruzione violenta del reale.
Non manca una buona dose di sentimentalismo, stemperata dall'invasione di orde di Scimpazombie e dalle strampalate fughe della scalmanata combriccola di animaletti tra gli strani marchingegni del parco.
Un film di emozioni che si sofferma sulla psiche di una bambina, sui suoi sussulti, sulle difficoltà di crescere senza smarrire la meraviglia e l'incanto, e sulla possibilità di recuperarli. Perché la meraviglia di Meravigliandia sei tu!
Conclusioni
Per concludere, come già ribadito nella recensione di Wonder Park, il film di André Nemec e Josh Appelbaum riecheggia per diversi aspetti il capolavoro di casa Pixar, Inside Out, pur rimanendone lontano anni luce. Meno introspezione psicologia e meno coinvolgimento emotivo a vantaggio di un linguaggio da slapstick comedy, che sicuramente divertirà i più piccoli. Da riconoscere agli autori la delicatezza con cui riescono introdurre in una favola sul potere della fantasia, l'elemento disturbante della perdita affettiva e della malattia.
Perché ci piace
- La forza con cui il film celebra il potere dell'immaginazione e la poesia dell'incanto anche di fronte all'incombere del reale.
- La costruzione estetica e l'uso di un linguaggio da slapstick comedy.
- La favola edificante e il racconto di formazione, con al centro il viaggio dell'eroina protagonista.
Cosa non va
- Un Inside Out più semplificato e meno empatico, che lo rende furibile soprattutto dai più piccoli. Un pubblico adulto potrebbe rimanere deluso.