Who's Bad?
Se dovessimo scegliere il nome di un solo cantante in grado di rappresentare la potenza trascinante della musica, la capacità di fissarsi nella mente delle persone con le proprie canzoni, lo stratega commerciale che riesce ad ottenere successi su successi, Michael Jackson dovrebbe essere in cima alla lista. Semplicemente perché si è mosso meglio di ogni altro in un palcoscenico sterminato come quello della popmusic. Scomparso prematuramente nel 2009, già protagonista di un documentario come Michael Jackson's This is it, uscito poco dopo la sua morte, l'interprete di Gary torna a vivere nell'intenso documentario di Spike Lee, Bad 25, presentato Fuori Concorso alla 69.ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.
L'autore di Atlanta dedica la sua attenzione in particolare al settimo album in studio pubblicato da Jackson, quel Bad di cui il 31 agosto ricorre il venticinquennale. Bad 25 racconta in maniera molto dettagliata lo sviluppo creativo del disco, una produzione fondamentale nella carriera di Jackson perché arrivata dopo il boom planetario di Thriller. Al di là delle oltre 70 milioni di copie vendute in tutto il mondo, Thriller diventò l'emblema del pop commerciale, trasformò e valorizzò l'uso dei video per promuovere i pezzi, e citiamo per brevità solo quello diretto da John Landis, consegnò alla storia della musica dei brani leggendari. Come ripetere quello straordinario successo, o meglio ancora, come si poteva andare oltre quello che (apparentemente) era così difficile da oltrepassare? Spike Lee risponde alla domanda ripercorrendo il processo che ha portato alla realizzazione di Bad, canzone per canzone, intervistando tutti coloro che hanno collaborato con Jackson alla stesura del disco, dallo storico produttore Quincy Jones, all'ingegnere del suono Bruce Swedien, passando per lo staff di coreografi che lo hanno seguito e i musicisti, come il tastierista Greg Phillinganes, che hanno vissuto a con lui a stretto contatto, senza dimenticare le testimonianze di quegli artisti che in un modo o nell'altro sono stati ispirati da Jackson, come Mariah Carey, Kanye West e Justin Bieber, quest'ultimo forse l'unica nota fuori posto nel lavoro di Lee. Dopo un breve preambolo dedicato a Thriller, Spike Lee si getta a capofitto nel racconto della nascita di Bad, album a cui Jackson lavora senza sosta producendo circa sessanta pezzi, solo undici dei quali pubblicati nel disco. Atteso spasmodicamente dai milioni di fans di tutto il mondo che ormai da 5 anni aspettavano un segnale dal loro idolo e da tutta l'industria musicale, pronta a fare le pulci al nuovo lavoro del re del pop, Bad vede la luce nel 1987 dopo una lunghissima gestazione. La CBS trasmette in prima serata uno speciale di un'ora e mezza sulla carriera di Jackson e quando il video del primo singolo, quello che dà il nome all'album, è pronto per essere visto, nessuno crede ai propri occhi. Un cortometraggio di 10 minuti diretto da Martin Scorsese su un ragazzo di colore che tenta di allontanarsi dalla miseria e dalla violenza del suo quartiere per diventare uno studente modello. Il dietro le quinte del video, sceneggiato da Richard Price, già autore dello script de Il colore dei soldi, vale da solo la visione del documentario, ed è assolutamente indicativo del trend del lavoro di Lee; una pellicola riuscita in pieno proprio perché si allontana dal ritratto bidimensionale del Jackson fenomeno da baraccone per mostrarne la genialità a contatto con altri artisti del suo calibro. Il documentario di Lee non è affatto la biografia di un musicista, ma il racconto trascinante di come questo si sia messo alla prova per superare i propri limiti, condotto con un'empatia che non può non colpire lo spettatore, anche quelli che di Jackson che conoscono poco o nulla. Bad non ha eguagliato nelle vendite Thriller, probabilmente non ha raggiunto nemmeno le stesse vette musicali toccate dall'album pubblicato nel 1982, ma di certo è stato un momento cruciale nella carriera artistica di Jackson, diventato una sorta di bersaglio mediatico per le presunte follie da artista (in un servizio dell'epoca si alludeva ironicamente ad un triangolo amoroso con la scimmia Bubbles e un alieno) e finito nell'occhio del ciclone per il progressivo sbiancamento della pelle, dovuto a quanto pare ad una malattia dermatologica, ma letto da molti come una sorta di rinnegazione della cultura 'black'. Andando a ritroso nel tempo Lee mostra dal suo punto di vista, cioè da quello di un buon amico di Jackson, come quelle fossero solo illazioni, spiegando quanto in realtà fosse forte e saldo il legame della popstar con la musica nera e come Bad rappresentasse una sorta di esaltazione delle sue radici. Giustamente celebrativo, trascinante, emozionante, Bad 25 di Spike Lee è uno dei documentari musicali più belli visti negli ultimi anni. Colpisce al cuore per la capacità del regista di accumulare e 'rileggere' in maniera personale la grande quantità di materiale raccolta su Michael Jackson; da ogni intervista emerge un pezzo significativo del Jackson artista, professionista scrupoloso, musicista poliedrico e dotato di eccezionali doti musicali e nel contempo si palesa davanti ai nostri occhi l'uomo pieno di contraddizioni, il grande performer e il ragazzo timido. Il bambino prodigio dei Jackson 5, il solista pieno di talento, diventò un artista con la "A" maiuscola, lo showman a 360°, capace di cantare e ballare come nessun'altro. Come dice Sheryl Crow, cantante e chitarrista di successo che ha iniziato la sua carriera come corista durante il tour di Bad, "Cambiava le molecole nell'aria".Movieplayer.it
5.0/5