As long as we're together the rest can go to hell/ I absolutely love you but we're absolute beginners/ With eyes completely open but nervous all the same
Sono i versi e la melodia di Absolute Beginners e la voce di David Bowie ad accompagnare, all'inizio dell'ultimo episodio, la 'fuga' di Fraser Wilson e Caitlin Poythress, o piuttosto Harper, per una folle giornata da trascorrere insieme, poco prima che la ragazza faccia ritorno negli Stati Uniti. Si tratta di una delle due puntate oggetto della nostra recensione del finale di We Are Who We Are, che con gli episodi 1x07 e 1x08 fa calare il sipario sulla vicenda di questi due teenager legati da una spontanea amicizia all'interno di una base militare nei pressi di Chioggia: stranieri in una terra straniera, ma pronti a trasformare quel piccolo angolo d'America lungo la costa veneta in un luogo da esplorare e far proprio, all'interno di un lungo processo di scoperta e ridefinizione di se stessi.
Un autunno di morte e desiderio
Nella settima puntata, le calde tinte dell'estate sono state rimpiazzate dal grigiore dell'autunno: siamo alla viglia della festa del Ringraziamento, quando la base diretta da Sarah Wilson (Chloë Sevigny) viene funestata dalla notizia che tre militari, fra cui il giovanissimo Craig Pratchett (Corey Knight), sono rimasti uccisi dall'esplosione di un ordigno durante una missione in Afghanistan. Per la prima volta la morte, veicolata dalla brutalità della guerra, fa la sua irruzione nel microcosmo della serie, in uno stridente contrasto con il vitalismo che fino ad allora aveva caratterizzato la quotidianità dei personaggi. Nell'arco di oltre un'ora, We Are Who We Are ci mostra il confronto di questa piccola comunità con il lutto: le lacrime degli studenti e degli amici di Craig (nonché quelle della sua vedova), ma pure le tensioni che affiorano fra Sarah e l'ufficiale Richard Poythress (Scott Mescudi).
Gli adulti, confinati in genere ai margini del racconto, si dividono fra chi mantiene una lucida, necessaria compostezza (in primis Sarah, tanto nel suo ruolo di comandante quanto in quello di moglie tradita) e chi, come appunto Richard, non è in grado di sostenere il peso della sofferenza e della perdita. Ma il focus dell'episodio rimane comunque puntato su Fraser (Jack Dylan Grazer), su quell'egocentrismo che gli impedisce di partecipare davvero al dolore dei propri compagni: la sua reazione fredda, quasi straniata, che lo induce al macabro commento sulle bare riempite di sassi; e l'eccitazione mista a paura per un inaspettato ménage à trois, interrotto sul nascere. E ancora una volta, la figura di Jonathan Kritchevsky (Tom Mercier) assume le sembianze, più che di un personaggio del tutto realistico, di una fantasia erotica: un conturbante oggetto del desiderio, destinato a rimanere tale.
We Are Who We Are, la recensione: alla scoperta di se stessi nella serie di Guadagnino
Time will tell: una notte di libertà
Le storie di tutti i comprimari di We Are Who We Are si interrompono qui: in molti casi non assistiamo a una conclusione definita, o perfettamente compiuta, ma del resto la natura della serie di Luca Guadagnino non segue il solco di una drammaturgia tradizionale. La puntata finale, pertanto, è dedicata interamente a Fraser e Caitlin (Jordan Kristine Seamón) e al loro viaggio improvvisato a Bologna per un concerto di Dev Hynes, alias Blood Orange. Per Caitlin, è un momento speciale anche per un altro motivo: si tratta del suo ultimo giorno in Italia prima di ripartire per gli Stati Uniti. Per l'occasione la ragazza 'rindossa' i panni di Harper, quell'alter ego maschile che probabilmente avverte come il suo io più vero, e sembra compiere un ulteriore passo avanti nell'esplorazione di un'identità gender fluid che sta finalmente imparando a conoscere e padroneggiare.
Fraser, dal canto suo, mantiene fede più che mai alla sua personalità irruenta e impulsiva, che lo porta a tuffarsi in ogni situazione come se fosse un'avventura, e alla sua curiosità bulimica: che si tratti di un coetaneo appena conosciuto (e vagamente attratto da lui) o di un suggestivo panorama dei tetti di Bologna, per il quale vale la pena perfino una forsennata corsa notturna attraverso la città. "As long as we're together the rest can go to hell", come cantava David Bowie: la chiusura è tutta per Fraser e Caitlin, per suggellare la loro amicizia. Almeno per una notte, questa è l'unica cosa che conta.
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Conclusioni
Il bacio fra i due ragazzi e la condivisione di un (ultimo?) istante di meraviglia, prima di un probabile addio, costituisce un epilogo emblematico per la serie di Luca Guadagnino: una serie che, come abbiamo sottolineato nella nostra recensione di We Are Who We Are, ci ha offerto una prospettiva interna e partecipe su un “mondo a parte” fra Italia e Stati Uniti, filtrato mediante gli sguardi inquieti e appassionati dei due protagonisti. E alla fine, la scena è tutta per loro: forse We Are Who We Are non è costruita secondo un equilibrio perfetto, ma come del resto imperfetta e sbilanciata è l’essenza stessa di quella straordinaria “età di mezzo” chiamata adolescenza.
Perché ci piace
- Il trasporto emotivo e il senso di empatia trasmessi dai due episodi conclusivi, in particolare durante la trasferta a Bologna.
- L’intensità drammatica delle scene legate alla morte dei tre militari in Afghanistan e alle loro conseguenze.
- L’efficacia nell’utilizzo della musica, sia per evocare suggestioni che in chiave narrativa.
Cosa non va
- Il carattere ‘aperto’ di numerose storyline, che potrebbe lasciare insoddisfatto chi si aspetta un impianto più tradizionale.