Lista alla mano dei film italiani papabili per la candidatura alla corsa ai premi Oscar del 2025, i più avrebbero puntato su Parthenope di Paolo Sorrentino, anche se la presentazione allo scorso Festival del cinema di Cannes non ha folgorato né la critica né gli spettatori. La costante nelle selezioni degli anni recenti è però stata sempre, a prescindere da generi vari ed eventuali, al grande nome. Ci sono, fondamentalmente due o tre casi che nell'ultimo ventennio hanno violato questa regola. Uno di questi sarà il nostro candidato per gli Academy Awards dell'anno venturo, Vermiglio di Maura Delpero. Un caso, e non solo per questo.
Una scelta che ha sbalordito non solo per la regola dell'autore riconosciuto, ma anche per la particolarità di una pellicola che, seppur avendo tra le frecce al suo arco il Gran premio alla giuria a Venezia 81, presenta (almeno ad una lettura più superficiale) delle caratteristiche che potrebbero allontanarla sia da un certo tipo di riconoscibilità o, meglio ancora, da un certo fascino, che ha sempre esercitato l'Italia sugli statunitensi, e sia dai codici di racconto contemporanei, oltre che andare poco incontro allo spettatore. E qui c'è l'altro fatto che lo rende un caso.
Uscito il 18 di settembre, il film ha conquistato il box office nel nono giorno di programmazione e alla seconda settimana i seicentomila euro di incasso. Numeri lontani dai top del botteghino e da quelli che dovrebbero essere i grandi risultati di un mercato lineare, ma che nella fattispecie indicano un film che, pur avendo un pubblico difficile da individuare, sta trovando la propria strada in una realtà in cui sono i film d'animazione a farla da padrone.
Vermiglio, l'underdog
Prendendo un campione di 20 anni, attraverso epoche e linguaggi, il cinema italiano ha presentato alla gran corte di Hollywood (con alterne fortune) pellicole firmate dai cosiddetti "grandi autori" (ovvero i più appetibili e riconoscibili). Le eccezioni sono poche e si riferiscono a nomi comunque importanti come Cristina Comencini (che nel momento della candidatura aveva dalla sua un film più che valido, un romanzo e un momento di carriera propizio), Emanuele Crialese (poi diventato un habitué) e, se vogliamo, Claudio Caligari (mai candidatura fu più giusta). Solo uno è stato un vero underdog: Jonas Carpignano. Forse il nome che più si avvicina a quello di Maura Delpero. Speriamo però che vada meglio del 2018.
Parliamo di due opere seconde di due autori che, pur appartenendo a generazioni differenti, hanno in comune la capacità di unire una visione specifica, che lega tradizione, formazione personale e specificità geografica e culturale, e un'altra dal respiro internazionale, che riesce ad allargare il raggio, attraverso un linguaggio moderno. Una visione autoriale che ha tutto per essere particolare, ma contemporanea. A Ciambra e Vermiglio sono due film in dialetto (il primo calabrese, l'altro trentino) che recuperano un immaginario italiano che va dal neorealismo ad un cinema rurale, contadino e molto legato all'essenza e al mistero della natura.
La pellicola di Delpero torna al racconto della Seconda guerra mondiale dal punto di vista di un microcosmo perso tra le montagne, dove comanda il maschio istruito, le figlie dormono insieme nel lettone e i bambini sparlano dei fatti del villaggio prima di andare a dormire. Un tempo sospeso, innaturale. Piano piano poi ribalta tutto, portando con la fine del conflitto e l'arrivo del nuovo, l'individualismo ad emergere oltre il collettivo e lo status quo istituzionalizzato. Il momento in cui il nuovo ordine viene guidato da chi non te l'aspetti, un femminile nuovo che sta sorgendo, mentre le stagioni ricominciano a succedersi. Una rilettura del passato, in una chiave estremamente contemporanea e uno sguardo personalissimo.
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L'imprevedibile pubblico italiano
Pur con il suo indiscutibile fascino e tutti i riconoscimenti da parte di critica e giure varie ed eventuali, un film come Vermiglio non ha un pubblico di riferimento facilmente individuabile. Rimane un testo difficile, che ha dei riferimenti lontani dal bagaglio di conoscenze o di interesse cinematografico del pubblico e, in più, distribuito in una morsa tra pellicole, a differenza sua, ampiamente previste come mattatrici delle sale italiane. Per quanto sia possibile esserlo. Eppure è arrivata la vetta del box office.
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La campagna fatta da Lucky Red (che ha visto anche un aumento progressivo delle sale) e, nonostante le criticità avanzate poco sopra, il momento scelto per l'uscita si sono rivelate entrambe, evidentemente, delle scelte vincenti per il film di Delpero, che è riuscita a portare nelle sale oltre settantamila spettatori. Un risultato più che ottimo, quasi insperato per le premesse e per il mercato in cui si andava ad inserire, su, anche questo è molto facile dirlo, ha avuto un peso sicuramente l'annuncio della candidatura agli Oscar.
In attesa di un riaggiornamento che ci sarà a gennaio con l'annuncio della short-list, la campagna della regista che dovrà rivedere i suoi impegni e i risultati della distribuzione internazionale, Vermiglio conferma una regola d'oro per la sopravvivenza delle sale, a discapito di tutte le previsioni nefaste fatte nel corso degli anni. Il pubblico è ricettivo all'evento cinematografico e molto lo fa il passaparola. Forse l'unica certezza in una realtà che nessuna analisi riesce ad inquadrare e nessun imprenditore riesce a cavalcare (l'ha dimostrato a suo modo anche C'è ancora domani). La narrazione di un film diventa essenziale per la sua ricezione, la palla poi passa alla qualità della pellicola e al rispetto che ha nei confronti dello spettatore. Il film della Delpero è, a suo modo, un evento nel suo "minitempo", è un bel film e ha un'ottima considerazione. In virtù di questo sta portando a casa le sue soddisfazioni.