Venezia 69, Le Bellas Mariposas di Salvatore Mereu

Il nostro incontro con il regista e le interpreti dell'ultimo film italiano in concorso nella sezione Orizzonti, il racconto dell'amicizia tra due ragazzine in una Cagliari magica e crudele al tempo stesso; "Racconto con leggerezza l'adolescenza terribile di due giovani piene di vita", ha spiegato Mereu.

Due anni dopo il documentario Tajabone, Salvatore Mereu torna alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia per presentare il suo terzo lungometraggio, inserito in concorso nella sezione Orizzonti, Bellas Mariposas, tratto dall'omonimo lavoro narrativo di Sergio Atzeni. L'opera è il racconto di una lunghissima giornata d'estate che due amiche per la pelle, Cate e Luna, trascorrono come sempre insieme; tra una gita in spiaggia e svariati gelati consumati per le strade di Cagliari, le ragazzine rivelano l'un l'altra i propri sogni e tentano di difendersi come meglio possono dalla mostruosità di certi adulti in un contesto povero e disperante, narrato però con leggerezza e sincero divertimento. Ne abbiamo parlato con lo stesso autore, affiancato dalle due giovani e brave interpreti, Sara Possa e Maya Mulas.

Salvatore, ti sei avvicinato al racconto di Atzeni in più tappe. Puoi raccontarci questo percorso?
Diciamo che ho iniziato a pensare all'adattamento mentre stavo finendo di montare Sonetaula. Poi due anni fa, proprio nel quartiere di Sant'Elia, che è lo stesso del racconto, ho girato il documentario Tajabone. Mi sono trasferito a Cagliari, sono stato là per un anno intero, ho conosciuto quel mondo e ho cercato di entrarci dentro insegnando Educazione all'Immagine in due scuole medie della zona. Quell'esperienza è stata fondamentale e mi è servita per farmi accettare da una comunità che non ama gli sguardi esterni.

Oltretutto il racconto di Atzeni è davvero un cult generazionale...
Sì, anche se è stato edito da Sellerio, non so quanto sia conosciuto in Italia (ride), ma certamente in Sardegna lo hanno amato tutti, così come dopo la sua morte anche Atzeni è diventata una figura mitica. Ogni lettore si è fatto nella testa un film del libro e non lo sostituirà certo con quello che abbiamo fatto noi. Il racconto è uno straordinario esperimento linguistico, ha una trama lieve, nonostante racconti delle cose terribili, e la sfida era cercare di conservarne questa sua grande qualità.

E dal punto di vista della resa della lingua del racconto che cosa hai trovato difficile?
Era una lingua tutta da inventare, ma è quella che usano i ragazzi in quel luogo, un misto di italiano e sardo. Sarebbe davvero stato un torto farlo parlare in italiano perché ne avremmo violato l'identità. Non so quanto questa scelta possa pagare, ma non ho alcuna intenzione di tornare indietro e soprattutto penso che non debba essere la lingua lo scoglio da superare dal punto di vista della distribuzione.

E' stata subito una scelta stilistica precisa quella di far rivolgere la protagonista, Cate, direttamente agli spettatori?
Questo è un espediente presente già nel racconto che è una sorta di soliloquio della protagonista, scritto senza punteggiatura, in maniera quasi sperimentale. Ho voluto mantenerlo nel film perché secondo me è la forza del romanzo e credo che il film abbia una delle più belle voci fuori campo proprio perché è stata mutuata da un racconto molto ardito. Certo, quando affidi una cosa del genere ad un'attrice non professionista come Sara, il rischio è molto alto, ma spero di aver vinto la scommessa.

Nel film sono pochi gli attori professionisti e in più c'è l'aggiunta di Micaela Ramazzotti che veste i panni della coga Alina, la maga che predice il futuro..
Per questo personaggio in particolare, così sopra le righe, c'era necessità di un attore noto e la scelta di Micaela mi è sembrata quella più convincente. Ci tengo a precisare poi che gli attori professionisti, come i genitori di Cate, Luciano Curreli e Maria Loi, hanno una grande esperienza teatrale e cinematografica alle spalle.

Come hai scelto invece le bravissime protagoniste?
Le ho viste per la prima volta in una serie di commedie a scuola e abbiamo iniziato a lavorare al copione esattamente come se fosse stato uno spettacolo scolastico. Un tempo che ci è servito per trovare una complicità assolutamente necessaria. A loro si chiedeva davvero tanto e non potevamo essere degli estranei. Quando poi abbiamo iniziato le riprese ho girato seguendo la cronologia della sceneggiatura, affinché scoprissero giorno per giorno quello che stavamo raccontando, tutto doveva arrivare al tempo giusto. Alla fine sono diventate davvero amiche.

Nonostante il film sia una forte espressione della Sardegna riesce a essere portatore di un messaggio universale. Forse è proprio il racconto dell'adolescenza...
E' un momento della vita che è troppo ghiotto da raccontare per un regista. Ogni cosa si sente in maniera forte e anche scendere le scale e sbattere la porta assumono un valore enorme. Per questo ritengo che Bellas Mariposas possa parlare a qualsiasi tipo di spettatore.

Il film sarà distribuito?
Non ancora abbiamo ancora una certezza. Purtroppo rispetto a quattro anni fa lo scenario è cambiato nettamente e ho la sensazione che si siano assottigliati gli spazi per film italiani come questo, troppo lontani dagli standard.

Ma questo è il cinema che tu continuerai ad inseguire?
Finché mi verrà data la possibilità di farlo lo farò, ma è sempre più difficile. Abbiamo fatto i salti mortali per girare questo e senza il contributo della Regione e l'adozione della Rai non avremmo mai chiuso il pacchetto.