Valeria Golino debutta alla regia in Miele

Il nostro incontro con l'attrice per il suo esordio dietro alla macchina da presa, un film sul suicidio assistito che sarà presentato a Cannes nella sezione Un Certain Regard; 'All'inizio mi hanno dato della pazza, ma la gente è pronta a riflettere su questioni così delicate e intime', ha raccontato in conferenza la regista.

Non è da tutti debuttare alla regia e riuscire a portare il proprio film nella prestigiosa Un Certain Regard, sezione della selezione ufficiale del Festival di Cannes, dove sarà presentato il 17 maggio. E' quello che è successo all'attrice Valeria Golino, autrice di Miele, in uscita nazionale il prossimo mercoledì grazie a Bim. E che l'interprete partenopea non sia fatta spaventare da un'impresa del genere lo dimostra anche l'argomento dell'opera, il suicidio assistito, un tema che viene affrontato dalla neo regista senza troppi giri di parole. Liberamente ispirata al romanzo di Mauro Covacich, A nome tuo, la pellicola racconta la storia di Irene, una giovane donna che aiuta i malati terminali a morire senza soffrire, somministrando loro una dose di un barbiturico reperibile solo in Messico; quando però a chiedere la sua consulenza è un uomo in salute, l'ingegner Carlo Grimaldi, che ha 'solo' deciso di smettere di vivere, la donna entra in crisi. Inizierà tra i due un lungo, serrato e durissimo faccia a faccia che non lascerà indifferenti nessuno dei contendenti. E' Jasmine Trinca a vestire i panni di Irene al cospetto del grandissimo Carlo Cecchi; fatta eccezione proprio per l'attore fiorentino, questa mattina abbiamo incontrato a Roma la protagonista del film e naturalmente Valeria Golino, presente anche in qualità di produttrice assieme agli altri due rappresentanti della Buena Onda, Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri.

Valeria, cosa ti è piaciuto del romanzo di Covacich? Valeria Golino: L'ho letto circa tre anni fa, all'epoca si intitolava Vi perdono ed era scritto da Angela Del Fabbro, che in realtà era lo pseudonimo di Covacich e mi è sembrato fulminante, molto contemporaneo nel miglior senso della parola, ma anche doloroso, provocatorio, con un personaggio femminile inedito. Ne ho parlato con gli altri soci della Buena Onda, chiedendogli di prendere i diritti del libro e da lì siamo andati avanti.

Avevi paura di affrontare un tema così controverso?
Il suicidio assistito è un tabù per la politica e per le istituzioni, non per le persone; noi siamo pronti a riflettere su questioni delicate, che colpiscono pregiudizi intimi, al di là del politicamente corretto. Dell'argomento in sé non ho mai avuto paura, anzi, è stato proprio questo a spingermi, il contrasto tra vita e morte, tra luce e buio, argomenti che mi interessava molto rendere attraverso delle immagini. Nel film c'è un tentativo di porsi domande, ma non volevo essere provocatoria o prendere una posizione definitiva. Su materie del genere non riesco ad avere certezze. Ciò che sento e credo è che ogni essere umano abbia il diritto di decidere per il proprio corpo, per la propria vita e per come finirla. Ho amato poi il protagonista maschile, mi piaceva parlarne e vederlo. In realtà avevo paura di non essere in grado di raccontare la storia nella maniera giusta e questo per la mia inesperienza registica. E poi le reazioni all'inizio del progetto non erano tutte entusiastiche...

Cioè?
Ci dicevano "siete dei pazzi" oppure, perché "volete rovinarle la carriera?"

Come sei uscita dall'empasse?
Ci siamo rassicurati a vicenda con gli altri dello staff, a volte ho mollato la presa e poi pian piano mi sono riavvicinata. E abbiamo cominciato.

Avete lavorato molto sull'adattamento del libro?
Io, e le mie sceneggiatrici Francesca Marciano e Valia Santella siamo intervenute moltissimo, abbiamo spremuto il romanzo per bene, lo abbiamo filtrato con la nostra etica; molte cose le abbiamo lasciate su pagina, perché al cinema non serve complicare, e poi abbiamo cambiato il finale.

Hai mai pensato di interpretare un ruolo nel film o di affidare una parte anche a Riccardo?
Se ne parlava all'inizio, ma mi sono subito svincolata; volevo che il personaggio femminile avesse l'età di Jasmine, che fosse una donna più giovane di me. E poi non avevo voglia di fare il primo film con me stessa, ero curiosa di filmare qualcun altro. Per quanto riguarda Riccardo, alcune parti maschili le avrebbe potute fare, ma abbiamo pensato che non fosse il caso.
Riccardo Scamarcio: E' stata una questione pratica, ti accorgi della mole di lavoro che fa un produttore è grande quando decidi di produrlo un film. Non è stato semplice, ma il risultato finale dimostra che in Italia si possono fare film coraggiosi e che possono anche venire bene.

E magari godere di una pubblicità internazionale come solo il Festival di Cannes sa dare... Valeria Golino: Sono incredibilmente contenta di questa opportunità, davvero, ho sempre desiderato andare a Cannes e in particolare nella sezione Un Certain Regard. E poi mi mette allegria l'idea di andare lì e farsi le foto tutti ben vestiti (ride) e poi questo senso di appartenenza alla cinematografia italiana mi inorgoglisce.

Jasmine, com'è stata la tua esperienza sul set con Valeria? Jasmine Trinca: Io non mi piaccio mai quando mi rivedo, tranne in questo caso. Credo che dipenda dal rapporto che si è instaurato con Valeria. Lavorare con lei è stata un'opportunità che non ho mai messo in discussione. Un film del genere pretendeva da noi autenticità e sin dal primo momento mi sono affidata alle sue mani e non ho fatto male. In fondo tutti gli attori sono potenzialmente bravi o pessimi, dipende dall'incontro con il regista
Valeria Golino: Più filmavo Jasmine e più volevo avvicinarmi a lei, la sua bellezza mi ha dato voglia di guardarla è una questione emotiva e non stilistica.

A proposito di stile, Miele segna per te una svolta importante; come hai lavorato alla regia?
Ho imparato da tutti quelli con cui ho lavorato, rendendomi conto di quello che mi piaceva e di quello che invece non mi apparteneva. Per me lo stile è il risultato di una disciplina, ho voluto evitare cose che sembravano belle, ma che erano di troppo, perché questo film non voleva il ghirigoro, l'estetizzazione. Cercavo di essere rigorosa e quando sono andata troppo in là, mi sono fermata. E' ancora troppo presto per parlare di un mio metodo, volevo solo che il film fosse libero e formale al tempo stesso; avevo paura delle trappole sia nel contenuto che nella forma.

E' stata una scelta precisa quella di non far vedere la morte delle persone che si rivolgevano ad Irene?
Sì, sono sequenze molto dettagliate perché volevo che si sentisse il peso e la tensione di un evento del genere, ma la morte in sé non avevo intenzione di filmarla.

Ad un certo punto del film, in un dialogo tra Carlo e Irene, il protagonista parla di imbecillità quotidiana. La sua decisione di morire è una resa davanti ad un mondo superficiale?
La frase in questione è una creazione di Carlo Cecchi che parlando di tutt'altro, un giorno la pronunciò e subito gliel'abbiamo rubata perché era perfettamente in linea con il personaggio di Grimaldi. Lui è un uomo che non si riconosce più in quello che sta vivendo, forse anche in questo momento storico, ma la sua è una noia esistenziale, un scollamento dalla vita, un'infelicità che non è legata all'oggi. Semplicemente non prova più interesse in tutte quella cose che ti danno la voglia di vivere.