Uscirà il prossimo 31 ottobre nei nostri cinema, Un castello in Italia, terzo lungometraggio da regista per Valeria Bruni Tedeschi che oggi a Roma ha presentato il suo film (distribuisce Teodora in una cinquantina di copie); presentata all'ultima edizione del Festival di Cannes, l'opera, in parte autobiografica, racconta la storia di un'ex attrice che torna a Torino per gestire assieme alla madre la vendita della magione di famiglia. Il confronto con la donna, austera e molto critica, e con il fratello, malato terminale di AIDS, sarà per Louise l'occasione di fare il punto sulla propria vita, sui desideri ancora da realizzare, ad esempio diventare madre, e sulle deludenti relazioni con gli uomini e con Nathan in particolare, un giovane attore che non alcuna intenzione di impegnarsi in un rapporto di coppia. Accompagnata da tre degli interpreti principali, la madre Marisa Borini, Filippo Timi e l'ex compagno Louis Garrel, Valeria Bruni Tedeschi ci ha parlato senza timidezze di questo lavoro, capace di affrontare con leggerezza anche temi dolorosi.
Quando un film è in parte ispirato alla propria vita, spesso si fa fatica a definirlo. Quanto è stato difficile per te rivedere certi momenti della tua vita, come la morte di tuo fratello? Valeria Bruni Tedeschi: Innanzi tutto dico che il film è stato sceneggiato in tre, con Agnès De Sacy e Noémie Lvosky, quindi se autobiografia c'è, ce ne sono tre, tre persone, tre mondi e tre modi di vedere la vita. Rispondo con un paragone culinario; quando si fa un dolce ci vogliono farina, zucchero, latte, uova. Fai l'impasto e lo metti in forno, poi quando è pronto non sai che fine abbia fatto la farina. La realtà è un materiale di base, poi inizia la rielaborazione. Noi abbiamo impiegato tre anni per scriverlo. Questo film è la rappresentazione di una condizione della vita umana e il dolore fa parte della nostra vita. Non prendo le distanze da lui, anzi cerco di avvicinarmi, altrimenti non saprei cosa raccontare.
Qual è quindi il tema cardine del film?Mi interessava raccontare la storia di un divorzio salutare tra due fratelli, che quasi vivevano da sposati. Tra i miei testi di riferimento in fase di scrittura c'erano Il giardino dei Finzi Contini e soprattutto Salto nel vuoto di Marco Bellocchio; francamente non so perché ho deciso di raccontarlo adesso, ma volevo mettere in luce quel tipo di separazione. Non è un caso che nel momento in cui si allontanano l'uno dall'altra, lei si innamora e lui si sposa, riescono ad amare da adulti.
Nella storia c'è un equilibrio perfetto tra leggerezza e drammaticità; in particolare il mondo della religione viene raccontato con ironia e comicità, ad esempio nel racconto della visita alla santuario di Napoli in cui le donne sterili vengono miracolate. E' stata una cosa voluta?
Il risultato può essere comico, leggero, ma non avevamo intenzione di cercare apposta l'effetto comico; Louise è un personaggio che vorrebbe aver fede, ma non ci riesce, in qualche modo è chiusa fuori dalla stanza della fede, per così dire, a differenza di sua madre. E' una cosa molto dolorosa, che però può sembrare comica. Un uomo che non sa nuotare fa anche gesti comici, ma la situazione che vive non lo è. E poi mi appassionava studiare il confine tenue tra superstizione e religione.
Circondarti di persone che sono a te molto vicine è un modo per sentirti al sicuro o è una responsabilità in più?
Per me conta solo il talento. Se ho chiesto a mia madre di fare il film è perché so che è un'attrice straordinaria, così per Louis. E' diventato ancora più bravo ora che ha trovato quello che io definisco il suo clown interiore. Poi ci sono anche gli incontri nuovi, come quello con Filippo Timi o con la montatrice, Francesca Calvelli.
E' stato difficile girare la scena del ballo con suo figlio in ospedale?
Pensavo solamente al fatto che non fosse una danza gioiosa, ma una danza d'addio. E' il ballo di una donna con il figlio che sta per morire.
Valeria Bruni Tedeschi: Grazie! Sono molto felice oggi (ride)
Filippo, per te è stato il primo lavoro con Valeria, ci racconti com'è andata? Filippo Timi: Il giorno del provino lei mi ha subito detto che non andavo bene, perché ero scuro, avevo un'altra fisicità; "Tu non c'entri nulla, non vai bene, no". Chiaramente me ne sarei andato, ma il provino l'ho fatto lo stesso. Quando ho incontrato Marisa, poi, ho iniziato a balbettare come un pazzo e lei ha strabuzzato gli occhi e rivolgendosi a Valeria le ha detto (imita la erre francese della signora Borini), "Ma fa per finta? Ma quanto ci metteremo a finire le riprese, sei mesi? Qui va tutto a scatafascio". A parte questo, posso dire che la poca somiglianza con il fratello ha permesso di ottenere quella giusta distanza dalla biografia e ci ha fatto avvicinare all'intimità della storia. Ecco, questo è un film intimo, quello di Ludovic è tra i ruoli più difficili e scomodi che mi sia capitato di fare, proprio per la dolcezza che mi si chiedeva. Valeria è una regista fantastica, ha un grande orecchio, si accorge subito se ti allontani troppo.
Ti sei trovato bene nel castello?
Mi sono trovato benissimo, c'era un'aria bellissima, il ricordo di un passato bello che non morirà mai.
Era la vostra vera abitazione? Valeria Bruni Tedeschi: Sì, ora non ci appartiene più. Siamo stati fortunati perché ce l'hanno prestato gratis, altrimenti non sarebbe stato possibile girare, visto il nostro budget ridotto. A proposito di Filippo, il castello era stato visto da Marco Bellocchio durante i sopralluoghi per Vincere (interpretato da Timi ndr). Non so, si è creato un legame particolare con lui.