Uno spettacolo d'autore
Siamo in Sud America, nel XVIII secolo. All'arroganza degli stati europei, pronti a tutto pur di colonizzare le terre appartenenti alle popolazioni indigene, si oppone la grande forza di volontà e il grande impegno dei gesuiti, dediti alla diffusione del cristianesimo e alla creazione di "missioni", zone protette dalla Chiesa dove gli Indios vivono liberamente e nella più totale tranquillità.
Padre Gabriel, interpretato da un bravissimo Jeremy Irons, è l'emblema della straordinaria umanità dei missionari, della loro caparbietà nel superare con pochissimi mezzi i mille ostacoli naturali e del loro coraggio nel contrastare l'iniziale e giustificabile inospitalità delle popolazioni del luogo (il film si apre con l'uccisione di un prete). In questo senso la musica è un elemento importantissimo: Padre Gabriel riesce ad ottenere l'accoglienza degli Indios grazie al potere di una suggestiva melodia, che sembra comunicare parole di pace, fratellanza, amore.
Amore. L'idea per cui questi uomini di dio si battono, un'utopia più che un sogno, perché la sete di potere e l'avidità degli uomini cosiddetti "civilizzati", di coloro che dovrebbero portare la civiltà ma che sono la causa di morte e spargimenti di sangue, è grande. Una riflessione che di certo rimanda alla realtà odierna.
Altro personaggio molto interessante è Rodrigo Mendoza, il solito grande Robert De Niro (peccato non sia doppiato da Ferruccio Amendola), dapprima mercante di schiavi, si convertirà al cristianesimo ed entrerà nell'ordine dei gesuiti a fianco di Padre Gabriel dopo aver ucciso il fratello. Pentimento, rimorso, ma soprattutto voglia di ricominciare da capo: una grande vicenda umana che emoziona e coinvolge lo spettatore.
E' il cardinale Altamirano (Ray McAnally), comunque, il personaggio meglio riuscito del film. Mandato in Sud America per decidere il destino delle missioni, se avrebbero, cioè, continuato a giovare della protezione della chiesa, egli comprende che gli indios non sono alla stregua di bestie, come gli europei vogliono far credere, e si trova alle prese con la proprio coscienza. Alla fine ciò che prevarrà, naturalmente, saranno gli interessi della Spagna, del Portogallo e della Chiesa. Così l'abbiamo fatto noi questo mondo, così l'ho fatto io, dirà il cardinale amareggiato per il triste esito delle missioni.
Palma d'Oro a Cannes nel 1986, il film, oltre alle tematiche profonde e al rigore storico, si avvale di una delle migliori colonne sonore composte dal maestro Ennio Morricone, che comprende brani di assoluta bellezza come Brothers e The Mission, di paesaggi incantevoli e di una fotografia premiata con l'Oscar. Senza dubbio un film spettacolare, soprattutto nella scena della battaglia finale, ma non si tratta ovviamente di un blockbuster con tanto svago e poche idee. L'ottimo regista Roland Joffè ha saputo conciliare l'esigenze del pubblico con quelle prettamente artistiche. Il finale è drammatico, commovente, e facilmente immaginabile. Si nota un amaro pessimismo di fondo per il mondo e per gli uomini: L'amore non ha posto in questo mondo. E io non ho la forza di vivere in un mondo come questo, Rodrigo, dice Padre Gabriel, privato di ogni lecita speranza, carico di una malinconia e di un'afflizione tale da colpire lo spettatore a livello interiore. Mission è in definitiva la cronaca di una pagina di storia crudele, vergognosa e molto attuale.