Uno sguardo (di parte) sulla Palestina di oggi
"Che io mi possa vendicare per uno solo dei miei due occhi".
Pronunciate queste parole, Sansone, dopo essere stato accecato, scosse le colonne marmoree del palazzo dei Filistei, uccidendo con sè 3000 fra i nemici di Israele.
Sul racconto del mito di Sansone, e sull'altrettanto mitologico episodio di Massada, si basa la metafora di fondo sulla quale il regista Avi Mograbi imposta tutta la propria pellicola.
Per uno solo dei miei due occhi è un film strano e straniante, a partire dalla realizzazione. Finanziato dal Ministero per l'Istruzione, la Cultura e lo Sport, dal Consiglio israeliano per il cinema, la pellicola rappresenta un settore del panorama sociale e culturale israelo-palestinese che solitamente emerge poco nel mondo della grande informazione: ovvero quello degli israeliani pacifisti, vicini alle posizioni politiche palestinesi contro l'oppressione di Israele e del proprio governo, che arrivano molte volte ad abbracciarne le derive più estremistiche.
Il docu-film di Mograbi si schiera senza se e senza ma su questa linea. Il contrappunto a tutte le scene di vita vissuta, tra reti metalliche che separano madri e figli, check-point che bloccano in modo totalmente discrezionale il passaggio, militari che abusano dei propri poteri, è caratterizzato per l'appunto dal racconto dell'episodio biblico di Sansone, che viene assunto a mito liberatore da Israele, e il suicidio di massa che compirono circa mille Zeloti per sfuggire alla schiavitù dei romani.
La metafora è semplice, cotta e mangiata: come un tempo il popolo d'Israele era oppresso e lottava per la propria libertà fino al punto di compiere gesti eclatanti come lo sterminio dei nemici o il suicidio volontario, così oggi Israele si trova dalla parte di occupante e di oppressore del popolo palestinese, arrivando fino a provocare atti estremi come il suicidio nel nome di Dio.
Il rimbalzare continuo tra piccoli episodi del vissuto comune ed il racconto sfaccettato e frammentato delle due storie appartenenti alla tradizione ebraica, che si vorrebbe leggero e garbato quasi come il volo di un colibrì radente la brulla campagna della Palestina, è invece forzato e pesante come uno dei minacciosi blindati di Tsahal sui quali la macchina da presa amatoriale tanto insiste come simbolo della protervia degli israeliani nei confronti dei palestinesi.
Il film è forzato e malriuscito, intriso profondamente di ideologia, privo di qualsiasi tentativo di rapporto oggettivo e pacato su una realtà estremamente più complessa di quella che viene abbozzata nella pellicola. Oltretutto, ad un livello puramente cinematografico, l'opera è estremamente statica: non accade praticamente nulla e il regista indugia unicamente sul proprio impianto accusatorio, tralasciando qualsiasi velleità estetica nella messa in scena.
Distribuito dalla Fandango, Per uno solo dei miei due occhi è un film di nicchia, destinato esclusivamente ad un pubblico politicamente impegnato e già nettamente schierato. Ma anche per questa ristretta cerchia di spettatori, la digeribilità della pellicola sarà estremamente ardua.