Recensione Il matrimonio è un affare di famiglia (2007)

Il film racconta di una vicenda familiare come tante, che alterna tratti lievi e spensierati a piccoli drammi quotidiani, utilizzando un registro scomodo e atipico, ma riuscendo, pur con tutti i propri limiti, a catturare l'affetto e l'attenzione del pubblico.

Una storia tra le storie

Clubland, recita il titolo di questo piccolo film, trasformato nell'italico Il matrimonio è un affare di famiglia. E racconta una storia normale e travagliata di una famiglia media americana, travolta dagli eventi in una qualsiasi zona periferica di una qualsiasi città, che trova nella solida complessità dei propri rapporti il bastione al quale ancorarsi per non sfaldarsi a fronte dell'impetuosità della vita.
Il matrimonio di cui parla il titolo italiano è solamente il coronarsi del più classico dei finali americani - e ci sarebbe da domandarsi seriamente il perchè dell'inserire, a partire dal titolo, l'epilogo della storia, ma passeremo oltre - dal sapore dolce -amaro, non pacificato, ma abbastanza sereno da non guastare il tono generale da commedia (dis)impegnata del quale la pellicola è ammantata.

Chris Nowland costruisce un film strano, atipico, addentrandosi nelle vicende di una famigliola scombinata, piena di problemi, di delusioni mal somatizzate.
Jean è un'ex cantante di cabaret, che, lanciata negli anni '70 verso una brillante carriera, è stata costretta ad interrompere per la nascita dei suoi due figli, e si arrabatta tra un lavoro in una mensa di operai e seratine qua e là in locali periferici. Tim, il suo figlio maggiore, si innamora perdutamente della bionda Jill, entrando per questo in contrasto con la madre, timorosa di vedere il figlio prendere il volo da casa prima di quanto aveva previsto. Infine ci sono Mark, il fratellino spastico, e John, il padre divorziato, anch'egli diviso fra la custodia di un supermarket e l'incisione di cd di cover di musicisti country.
La regista è brava a tenere insieme le fila di una storia che avrebbe potuto facilmente degradare nel melò, come anche perdersi in una malinconica e qualunquista analisi sociale. Un buon ritmo, mai sopra le righe e mai declinante verso un possibile pietismo, caratterizza tutta la durata del film, non lesinando chiaroscuri, non astenendosi dall'essere, all'occorrenza, amaro e pungente o lieve e frizzante.

Le pecche di una storia per alcuni versi forzata, che non riesce a cogliere come vorrebbe alcune sfumature psicologiche e caratteriali che pur si sarebbero dimostrate opportune per evitare un'eccessiva semplificazione di una storia complicata, non incidono sull'ossatura di un film atipico, coraggioso per molti versi, che racconta in modo al contempo lieve e sofferto una storia tra le tante storie difficili del nostro tempo.