Sono passati dieci anni dall'uscita di Una scomoda verità, e Al Gore ha sfruttato il successo del documentario per istruire altre persone sull'uso della sua presentazione di diapositive per divulgare le conoscenze accumulate nel corso dei decenni sui cambiamenti climatici e le loro conseguenze nefaste in America e altrove. Viaggiando da un continente all'altro, l'ex-politico tira le somme in relazione ai progressi recenti, tra cui l'Accordo di Parigi, ma deve anche fare i conti con un altro tipo di clima, quello politico negli Stati Uniti durante e dopo la campagna presidenziale del 2016.
Messaggio da Oscar
Nel 2006 fece molto parlare di sé Una scomoda verità, documentario diretto da Davis Guggenheim a partire da un'iniziativa di Al Gore, che dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali del 2000 aveva deciso di lasciare la politica e dedicarsi completamente a una causa a lui cara: il cambiamento climatico, i cui pericoli sono l'argomento di una serie di diapositive che Gore presenta in occasione di vari convegni e incontri. Per certi versi il film fu un piccolo miracolo, riuscendo a rendere cinematograficamente interessante l'uso di PowerPoint, non senza l'uso di un pizzico di ironia (per spiegare meglio il concetto di base fu tirato in ballo anche uno spezzone della serie animata Futurama), e gli sforzi di Guggenheim e Gore furono riconosciuti persino dall'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, che assegnò a Una scomoda verità l'Oscar per il miglior documentario nel 2007 (Gore, che per l'occasione finse di voler annunciare una nuova corsa alla Casa Bianca, ricevette in seguito anche il Nobel per la pace). Non mancarono le critiche, soprattutto negli USA dove svariati gruppi industriali e la stragrande maggioranza del Partito Repubblicano negano l'esistenza del surriscaldamento globale in nome degli interessi (finanziari) personali.
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Considerando che da allora la situazione non è esattamente migliorata, soprattutto negli ultimi due anni con la campagna presidenziale vinta da Donald Trump, è facile capire perché Gore abbia deciso di portare sullo schermo l'evoluzione dei suoi sforzi, con il titolo calzante An Inconvenient Sequel (In italiano Una scomoda verità 2). Manca all'appello Guggenheim, sostituito da Bonni Cohen e Jon Shenk, ed è cambiata anche l'impostazione: le diapositive appaiono sullo sfondo in determinate sequenze, cedendo il posto a vari viaggi effettuati da Gore con il duplice scopo di istruire chi aderisce alla sua iniziativa di divulgazione e osservare da vicino gli effetti dei mutamenti climatici in giro per il mondo, dalla Groenlandia che sta gradualmente perdendo i propri ghiacciai a Miami che è a rischio di rimanere sommersa se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente. Ovviamente non manca la politica, con l'ennesima evocazione di quanto accaduto nel 2000 - lo stesso Gore non può fare a meno di sorridere quando si rende conto di trovarsi in Florida, stato che gli costò l'elezione, per analizzare i danni dell'acqua - e la minaccia ideologica rappresentata da Trump e dalla sua amministrazione (cronologicamente il film si chiude con le prime reazioni alla vittoria presidenziale del magnate newyorkese).
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Sequel in progress?
L'impegno è sempre lo stesso, il carisma di Gore anche, ma in questa occasione si esce dalla sala con la netta impressione che l'operazione si rivolga a "pochi" eletti, come nel film stesso, senza quella dimensione più universale che caratterizzava Una scomoda verità. Difficilmente chi è tuttora scettico nei confronti delle mutazioni climatiche si farà convincere dal lavoro dell'ex-Vicepresidente (e Gore stesso lo ammette in una clip d'archivio), mentre sarebbe necessario proprio in sede di sequel cercare di andare oltre la cerchia dei "fedeli". Vi è anche il sospetto che i realizzatori stiano già pensando ad un possibile terzo capitolo, che presumibilmente approfondirebbe il tema spinoso che è la presidenza di Donald Trump, il cui insediamento ha avuto luogo in concomitanza con l'edizione 2017 del Sundance Film Festival, dove ha debuttato An Inconvenient Sequel (l'inclusione nel film della nomina di Rick Perry, noto per le sue posizioni antiscientifiche, come Segretario dell'Energia, avvenuta nel dicembre del 2016, suggerisce che i registi abbiano completato il tutto in fretta e furia).
Ci troviamo di fronte ad un lavoro ben confezionato e interessante ma anche superficiale e frettoloso, che avrebbe forse beneficiato di un anno in più per raccogliere materiale e sottolineare la gravità della situazione attuale negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Forse Gore, o chi per lui, temeva che rimandare l'uscita fosse poco saggio alla luce dei nuovi problemi creatisi, ma se si pensa allo scopo apertamente divulgativo dell'opera è innegabile che una maggiore cura nei dettagli e nella contestualizzazione si riveli alquanto necessaria, soprattutto in un periodo in cui il governo americano si oppone esplicitamente ai dati scientifici promulgati dagli esperti. D'altronde non è detto, e ci dispiace constatarlo, che il secondo episodio abbia lo stesso impatto del primo anche a livello di copertura mediatica e/o presenza in sala: alla proiezione stampa a Cannes, dove era presente chi scrive, la sala era mezza vuota...
Movieplayer.it
3.0/5