Una nota sgraziata, eppure nuova
Per Tim Burton, quella di Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street era dichiaratamente una scommessa ed una provocazione: realizzare oggi presso un grande studio un film che fosse al tempo stesso un musical di chiara matrice teatrale ed un horror cupo e sanguinolento è un'idea alquanto bizzarra, e probabilmente concessa solo al regista di Burbank. Insomma, Burton sembra essersi voluto mettere alla prova (e divertire un po' beffardamente), realizzando qualcosa di nuovo, di inedito per lui e per gli altri. Si sarà magari anche divertito, il regista, fatto sta che Sweeney Todd è il suo film più zoppicante dai tempi dell'altro insolito "esperimento", quello di Planet of the Apes - Il pianeta delle scimmie.
Pur affascinante da un punto di vista visivo, soprattutto grazie a scenografie e costumi, Sweeney Todd fatica a conquistare l'attenzione dello spettatore proprio a causa della sua struttura musical: pur di per sé dotato di una mano visivamente "musicale", Burton non ha però saputo trovare la giusta chiave registica per rendere cinematografica una forma che proprio per via della sua intonsa derivazione teatrale è piuttosto statica e carente di un ritmo adeguato a quello del grande schermo. Ed è piuttosto stridente vedere come le scene di canto siano state girate con movimenti e posizionamente di macchina assai simili - quando non analoghi - a quelli degli altri film del regista.
Ingabbiati in questa forma sospesa e priva di una personalità definita, i sentimenti e le pulsioni violente e viscerali della trama non riescono ad emergere come avrebbero dovuto, anche per via di un cast che - nuovo al canto ed al musical - appare evidentemente troppo preoccupato a dare il meglio di sé da un punto di vista vocale che non da quello espressivo e recitativo. Ragion per cui, sia detto per inciso, è assolutamente ingiustificata la nomination all'Oscar ricevuta da Johnny Depp.
Nella sua parte iniziale e centrale, Sweeney Todd scorre quindi quasi grigio ed incolore come la fotografia volutamente desaturata Dariusz Wolski, appesantito dalla pessima parentesi del personaggio di Pirelli, nonostante gli evidenti sforzi di Burton di bilanciare registri come l'ironia e il macabro, nonostante il volto angelico e le forme seducenti della giovanissima Jayne Wisener.
Si sorride lievemente con una sequenza "onirica" nella quale il personaggio di Helena Bonham Carter (che secondo il regista ha fatto un provino per la parte, ma a crederci sono ben pochi) immagina un futuro felice con quello di Depp, una sequenza in cui Burton cambia registro, abbandonandosi a frizzi e lazzi visivi che ricordano alla lontana certe estetiche de La fabbrica di cioccolato.
Ma è nel finale, quando si tirano le fila della vicenda, che accade qualcosa di inaspettato e che potrebbe valere da sola la visione del film. Quel che colpisce, in un finale grandguignolesco nel quale finalmente la musica viene relegata ad un ruolo secondario, è che per la prima volta Burton si abbandona a toni realmente cupissimi e gotici, ad un finale dove ogni tipo di speranza sembra assente. Le favole dark di Tim Burton hanno infatti sempre riservato finali che lasciavano uno spiraglio aperto, se non alla speranza, ad una lettura poetico-romantica delle vicende, ad una prospettiva verso il futuro: qui invece ogni aspetto del genere viene negato, ed il film si conclude senza consolazione per protagonisti e spettatori. La favola, se di favola si può parlare, è quella crudele e inquietante dei Grimm, non di quelle nelle quali alla fine "vissero tutti felici e contenti."
Basta questo per risollevare le sorti di un film nel complesso sbilanciato come Sweeney Todd? Probabilmente no. Ma forse Burton ha cambiato qualcosa nel suo modo di vedere le cose ed il cinema, e questo è interessante, specie in prospettiva futura. Vedremo.