Una favola nella terra di nessuno
Steven Spielberg, evidentemente, ci ha preso gusto a cimentarsi con la commedia, e dopo Prova a prendermi spinge ancora più a fondo l'acceleratore sul lato comico con questo The Terminal, ispirato a una storia vera, quella del profugo iraniano Merhan Nasseri, per anni costretto a questa condizione all'aeroporto di Parigi.
Qui invece il protagonista è Viktor Navorsky (un irresistibile Tom Hanks), un turista proveniente dall'immaginario stato di Krakhozia che arriva all'aeroporto Kennedy di New York. Durante il suo viaggio, nel suo paese di origine si è però verificato un colpo di stato: il suo passaporto non ha più valore, non può entrare negli Stati Uniti e non può ripartire. E' un signor nessuno costretto a vivere in una terra di nessuno, il terminal di transito dei voli internazionali. Ma Navorsky dopo i primi momenti di difficoltà in questa situazione kafkiana se la caverà benissimo, riuscendo con le settimane perfino a sbarcare il lunario, a farsi amico il personale dell'aeroporto (a parte l'agente aeroportuale impersonato da un adorabilmente cattivo Stanley Tucci) e a instaurare una mezza love-story con l'hostess Amelia (Catherine Zeta-Jones, qui stranamente spoglia delle sue vesti di donna fatale e alle prese con un ruolo di donna insicura nei sentimenti). E poi la forza di Navorsky arriva da un segreto, una promessa da mantenere.
E' ovvio che il sottofondo amaro sulla morte del sogno americano c'è tutto, non a caso ad aiutare Viktor sono solo extracomunitari mentre i padroni di casa rivelano l'anima paranoica e xenofoba del dopo 11 settembre. Frank Dixon (Tucci) considera Viktor solo un problema da eliminare al più presto o da passare ad altri per non avere seccature e responsabilità. Ma questo tema, probabilmente per precisa volontà del regista, resta troppo in secondo piano, dominato dalla strabordante comicità fisica di Tom Hanks, che con parole smozzicate, gesti incerti ed espressioni esilaranti è l'autentico dominatore della scena sovrastando tutti gli altri personaggi e inventandosi, seppur in modo parziale, un'altra prova "solo contro tutti" sullo stile di Cast away. La sua progressiva scoperta di come l'aeroporto possa far convivere fedi, culture e opinioni diverse assume ben presto i contorni della vera e propria favola.
Se poi ci mettiamo un classico finale spielberghiano, ecco che la tragicommedia, nonostante sia come sempre ben girata e scenograficamente perfetta (il set dell'aeroporto a tre piani fatto costruire da Spielberg in cinque mesi è davvero faraonico), resta soprattutto un film molto divertente e fiabesco, mentre la presunta satira appare fatta con fin troppo garbo.