La ricerca della verità in una soporifera aula di tribunale di New Orleans, un reo confesso, un numero di depistaggi sufficienti ad innalzare la tensione psicologica almeno nella prima parte di film, una partitura musicale che si appoggia morbida sul paesaggio circostante esaltandone gli stereotipi, una voce fuori campo che ci accompagnerà per tutta la durata della storia in sella a una motocicletta per le strade della Louisiana.
La vicenda si consumerà a colpi di interrogatori davanti al banco degli imputati seguendo un pattern narrativo costruito sull'assunto del "nulla è come sembra": Una doppia verità è il secondo film di Courtney Hunt, il cui esordio nel 2008, Frozen River - Fiume di ghiaccio, non era sfuggito alla Giuria del Sundance, che l'aveva incoronata con un Gran Premio aprendole di fatto la strada alla candidatura a due Oscar per la migliore attrice a Melissa Leo e la miglior sceneggiatura originale.
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Tra depistaggi e colpi di scena
Anche qui, come nell'opera prima, siamo dalle parti del thriller, con una virata in questo caso verso il legal drama, di cui la regista cerca di sovvertire i canoni, senza però riuscirci pienamente; mentre ribaltamenti e colpi di scena perdono via via la loro verve, diventando nella maggior parte dei casi telefonatissime svolte narrative. Il finale non ne è esente.
Concepito come un puzzle che lo spettatore sarà chiamato a ricostruire attraverso flashback e indizi disseminati tra una sequenza e l'altra, il film si regge su figure e ingredienti tipici del noir giudiziario.
Mike Lassiter (Gabriel Basso) è un adolescente accusato di aver ucciso il padre, avvocato di spicco a New Orleans (James Belushi); è lui stesso a confessare l'omicidio ("andava fatto tanto tempo fa" dirà sulla scena del delitto), per poi trincerarsi in un ostinato silenzio rifiutandosi di parlare persino con il proprio avvocato Richard Ramsey (Keanu Reeves), che ha promesso alla madre Loretta (Renée Zellweger) di tirarlo fuori, deciso com'è a portare a galla la verità a qualunque costo. Per farlo adotterà la tattica dello sfinimento: farsi massacrare per sferrare poi il colpo finale, come Mohammed Alì che nell'ultimo round mise ko George Foreman, dopo aver incassato pugni per tutta la durata del match. Così Ramsey spiegherà la propria strategia alla giovane e collaboratrice Janelle (Gugu Mbatha-Raw), che si rivelerà prevedibilmente molto più scaltra di come sembri.
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Un film già visto
È l'ambiguità di ciascun personaggio il punto di forza del film, ognuno con la propria verità, perché alla fine "tutti mentono". E mentre in aula i racconti dei testimoni ricostruiranno un passato di violenze familiari, lo spettatore verrà schiaffeggiato nel tentativo fin troppo palese di depistarlo.
Passabili le prove degli attori protagonisti: una irriconoscibile ed emaciata Zellweger, vittima di un marito burbero, nervosa ed inquieta portatrice di luci e ombre, lontano però dalle leggendarie femme fatale che il noir ci ha consegnato in decenni di cinema; un monocorde Keanu Reeves, incapace di portare fino in fondo sulle proprie spalle l'immagine dell'avvocato scalcinato diviso tra camere di motel e viaggi in moto; e un Jim Belushi che invece risolleva il livello, nei panni del cattivo senza possibilità di redenzione, oscuro, violento e in grado di colpire per i pochi minuti in cui apparirà in scena.
Il peccato originale del film rimane, a discapito delle intenzioni e del soggetto, una scrittura che non ha nulla di memorabile e che dalla seconda parte del film in poi smonterà qualsiasi colpo di scena finale.
Movieplayer.it
2.5/5