Una 'bastarda' notte romana
E' un curioso esordio, questo dei due registi Claudio Fausti e Serafino Murri: curioso perché realizzato con un budget ridotto all'osso, curioso perché visivamente spiazzante, frammentato, volutamente anti-spettacolare, curioso soprattutto perché basato su un'idea di cinema al di fuori di qualsiasi convenzione, sia che ci si riferisca al panorama italiano, sia che si voglia fare un discorso più generale. I due giovani registi hanno infatti concepito il film come un progetto work in progress, in cui il soggetto si limitava ad un punto di partenza e a uno di arrivo, e tutto il cast tecnico e artistico era libero di aggiungere nuove idee ed eventi alla vicenda. Una sorta di laboratorio creativo, quindi, in cui il risultato finale è diventato più che mai una creazione collettiva, per narrare la storia della "serata bastarda" di un gruppo di trentacinquenni, riunitisi dopo anni, che vagano per la notte di Roma tra feste, locali, sbronze, flirt e incontri pericolosi.
Un'impostazione anti-spettacolare, si diceva, ma a tratti anche anti-cinematografica: la regia sembra un tentativo di portare nel nostro cinema qualcosa di simile al Dogma codificato da Lars Von Trier, con la camera tenuta quasi costantemente a spalla, l'assenza di scenografie, la fotografia sgranata e "sporca". I vari personaggi vengono introdotti allo spettatore in modo brusco, con stile frammentato, senza tener conto delle convenzioni cinematografiche che impongono l'introduzione graduale di chi guarda nella vicenda: lo spettatore è nella posizione di chi "spia" vicende già avviate, compiendo quello che gli stessi registi hanno definito un "furto emotivo" ai danni dei personaggi. Così, la riuscita della narrazione per immagini è affidata più al lavoro degli attori, che nel percorso del film si sono fatti anche sceneggiatori, che a uno script che non è niente più che un canovaccio, e che rifugge qualsiasi tentativo di approfondimento e di enfasi "classica" su vicende e personaggi. Proprio grazie a questa sua impostazione, il film ha l'innegabile pregio di non puntare all'ennesimo ritratto generazionale, evitando categorizzazioni e semplicistiche tipizzazioni a cui il cinema italiano sembra averci tristemente abituati negli ultimi anni. Lo scopo dei due registi è quello di aprire una finestra su una notte romana, una delle tante, e su un gruppo di personaggi che la vivono: lo spettatore può cogliere così un'idea, qualche frammento delle loro vicende personali, restando libero di costruirsene (o meno) autonomamente un'opinione. Qualsiasi considerazione di carattere morale, sia essa sul singolo, o collettiva, viene lasciata volutamente e coscientemente fuori dalla porta.
Da un punto di vista strettamente cinematografico (ottica con il quale anche un'opera come questa non può comunque mancare di confrontarsi) non si può tuttavia non riscontrare il mancato approfondimento di alcune sottotrame (prima fra tutte quella dei due fratellastri alla ricerca del padre), che restando irrisolte finiscono per perdere incisività: persino un film fuori dagli schemi come questo, che propone un modello di scrittura cinematografica del tutto nuovo, non può comunque rifuggire dal confronto con il fruitore finale dell'opera, che è lo spettatore. Se per buona parte del film la mediazione tra questa esigenza e l'originale idea di cinema che è alla base del film dà buoni risultati, in altri punti questo equilibrio viene spezzato, e chi guarda finisce per essere molto meno disposto a stare al "gioco".
Tuttavia, film come questi sono piccoli esempi di cinema che vanno incoraggiati, indispensabili per l'auspicabile costruzione di un panorama cinematografico che si caratterizzi per varietà oltre che per qualità e quantità. Un plauso dunque al produttore Gianluca Arcopinto, che ha avuto il coraggio di puntare su un'altra opera non convenzionale come questa dopo aver già finanziato prodotti (Piovono mucche, Ballo a tre passi e Palabras tra i tanti) che non si sono mai caratterizzati per un'attenzione smaccatamente rivolta al botteghino.
Movieplayer.it
3.0/5