Un vampiro per amico
Chi scrive ha passato i primi due giorni del Festival di Torino a inveire contro un'organizzazione ceca e deficitaria, incapace di dare vita a un nuovo corso, necessario alla luce del successo crescente della manifestazione. Poi però ci si mettono i film a fare da paciere e il piatto della bilancia si sposta inevitabilmente. Perché un'edizione del genere, con qualche picco notevole, pochi bluff e una qualità media davvero inappuntabile, colpisce ben oltre qualsiasi aspettativa. Immaginarsi infine un horror, nel festival diretto da Nanni Moretti, è sorpresa inferiore solo al fatto che Lasciami entrare non è semplicemente un film svedese sui vampiri, quanto il miglior film visto in questi sette giorni a Torino.
Il Låt den rätte komma in del titolo originale (tradotto sostanzialmente in modo fedele anche in Italia, dove sarà distribuito da Bolero Film) è il richiamo alla sempre affascinante mitologia vampiresca e concerne l'atto dell'invito, necessario a una creatura della notte, per entrare in un appartamento privato. Atto concreto, quanto simbolico in un film che fa propria questa mitologia, filtrandola attraverso un racconto di formazione di trascinante struggenza, sottolineato da una regia morbida e ipnotica; mai alla ricerca dell'effetto truculento, se non ai fini del rilievo narrativo.
Ambientato in un sobborgo di Stoccolma (come l'omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist, qui sceneggiatore) il film racconta l'incontro di due disadattati nel gelido inverno svedese del 1982. Oskar è un dodicenne vulnerabile e solitario, con una famiglia poco presente e dei compagni di scuola bulli e insignificanti. Eli è una ragazza misteriosa, appena trasferitasi nell'appartamento adiacente e con cui Oskar instaura un rapporto di dolce complicità e di resistenza al mondo esterno. Il proliferare improvviso di una serie di violenti delitti, lo porta a scoprire la vera identità di Eli, vampira costretta alla migrazione continua per dar sfogo alla propria necessità alimentari.
Tomas Alfredson coglie pienamente lo spirito del bellissimo libro di Lindqvist, raccontando la depressa Svezia del 1982 con piglio dickensiano, penetrando il suo sguardo lucido e ricercato con un indomabile romanticismo che dona al film un respiro emotivo, lontano a sopirsi anche al termine della visione. Ma soprattutto Lasciami entrare è una mirabile storia di formazione, capace di illustrare l'evoluzione interiore e le difficoltà della crescita con una sensibilità assoluta, con il cuore gotico di un film Tim Burton e l'intensità di uno Stand by me. Preferirlo a Twilight è l'ultimo atto politico che uno spettatore possa compiere ai nostri giorni. Almeno fino al suo remake hollywoodiano già annunciato.