Recensione Crossing the Bridge - The Sound of Istanbul (2005)

Alexander Hacke e Fatih Akin immergono lo spettatore in un universo dall'indubbio fascino, in cui la musica rappresenta il "termometro" per valutare umori e contraddizioni di una società in continua evoluzione.

Un 'ponte' in musica

Ha una storia singolare, questo documentario di Fatih Akin, che nasce da un vero e proprio colpo di fulmine: quello del musicista Alexander Hacke, membro della band industrial-rock degli Einsturzende Neubauten, per la città di Istanbul, scoperta durante le riprese del film La sposa turca, di cui il musicista ha composto la colonna sonora. Colpito da un universo multietnico e sfaccettato, che ha nella musica uno dei suoi elementi maggiormente vitali, Hacke ha deciso di offrire uno spaccato della città attraverso i suoni che l'attraversano, andando ad esplorare la variegata e multiforme scena musicale che la anima.

E' proprio la telecamera di Akin ad accompagnare il musicista in questo suo viaggio, in cui emerge l'estrema varietà e vitalità di un panorama musicale che, fedele al carattere di "crocevia" della città che lo ospita, esprime influenze e contaminazioni delle più variegate: dalla neo-psichedelia dei Baba Zula (di cui Hacke si improvvisa per l'occasione bassista) al rock duro, di derivazione occidentale, dei Duman, dal suono sperimentale dei Replikas a quello hip-hop, ispirato musicalmente alla scena statunitense, dei Ceza; per arrivare poi alla voce delle minoranze, di quella Aynur che canta speranze e disillusioni del popolo curdo, e a un'istituzione della musica classica locale come l'ottantaseienne Muzeyyn Senar.

Musicista e regista immergono così lo spettatore in un universo dall'indubbio fascino, in cui la musica rappresenta il "termometro" per valutare umori e contraddizioni di una società in continua evoluzione, ben lungi dall'aver raggiunto una forma stabile: e di questa società la capitale rappresenta il cuore pulsante, storico "ponte" tra oriente e occidente che esibisce fiera la sua natura multietnica e multiculturale. Ed è proprio lasciandosi trasportare in questo flusso incessante di suoni, colori, parole ed esperienze narrate, che si può cogliere l'autentica natura popolare di un'operazione come questa, che permette inoltre di godere ancora una volta del potere suggestivo, capace di portare dentro di sé interi mondi, del "mezzo" musicale. Per un documentario di un'ora e mezza nato, come si diceva, da un semplice "colpo di fulmine", sicuramente non è poco.

Movieplayer.it

3.0/5