Recensione Duello al tempio maledetto (1994)

Uno dei rari casi di Hong Kong movie ad aver goduto di una distribuzione nel nostro paese, questo 'Duello al tempio maledetto' è stato diretto nel 1994 da Ringo Lam, uno dei più importanti registi della cosiddetta new-wave hongkonghese.

Un paradiso che brucia

Uno dei rari casi di Hong Kong movie ad aver goduto di una distribuzione nel nostro paese, questo Duello al tempio maledetto (il titolo internazionale è Burning Paradise) è stato diretto nel 1994 da Ringo Lam, uno dei più importanti registi della cosiddetta new-wave hongkonghese, quella generazione di cineasti che tra la fine degli anni 80 e l'inizio degli anni 90 rivoluzionò stile e tematiche del cinema della ex-colonia britannica (di Lam è da ricordare il poliziesco City On Fire (1987), che fu omaggiato da Quentin Tarantino nel suo Le Iene). A produrre il tutto c'è il personaggio che più di tutti contribuì allo sviluppo della new-wave, quel Tsui Hark che è stato da più parti definito "lo Spielberg d'Oriente", per fantasia, dispiego di mezzi utilizzati nei suoi film e fiuto produttivo.
In questo caso, siamo di fronte a un film che appartiene al genere wuxiapian (avventure medioevali di cavalieri erranti), filone che è stato recentemente riportato in auge dal successo de La Tigre e il Dragone di Ang Lee; qui, tuttavia, i tipici elementi del genere sono contaminati da una cupezza di fondo, da una crudezza delle immagini e da una violenza grafica tali da far più volte sconfinare il film nell'horror. Tutte le sequenze ambientate all'interno del tempio sono pervase da un'atmosfera cupa e claustrofobica, solo apparentemente nascosta dal ritmo forsennato delle scene d'azione e dei combattimenti; gli orrori praticati dal vecchio Kung sono esposti senza problemi, quasi che Lam abbia voluto farci toccare con mano i risultati della follia di quest'uomo: così, distese di forche con cadaveri appesi a marcire, gente seppellita intorno al tempio con braccia scarnificate che fuoriescono dal terreno, trappole mortali con micidiali spunzoni che trafiggono i malcapitati, decapitazioni e via dicendo: un campionario di atrocità davvero insolito per un film del genere. Vale la pena anche ricordare la scena dello stupro di Tou-Tou da parte di Kung, con il vecchio folle che, dopo aver quasi strangolato la ragazza, decapita una testimone casuale dell'evento ed espone davanti a Tou-Tou la testa della malcapitata, quasi a perenne monito: un erotismo brutale, mescolato alla violenza, che ha anch'esso pochi termini di paragone nella storia del genere.
I temi affrontati dalla storia sono comunque molto classici per la cinematografia di Hong Kong: troviamo l'onore, la lealtà (quella del giovane Fong per il suo vecchio maestro, ritrovato nei sotterranei del tempio), il tradimento (quello, apparente, di Hung, amico fraterno di Fong ora seguace del Loto Rosso e quello, reale, della spietata combattente Brooke, dapprima seguace di Kung e poi schieratasi con i ribelli), il sacrificio, la difesa dei più deboli e la fede in una divinità che possa porre fine alle ingiustizie. Vale la pena soffermarsi anche sulle due storie d'amore presenti nel film: quella tra Fong e Tou-Tou, conseguenza del salvataggio della giovane da parte di Fong, che si svolge secondo i canoni classici del genere (verrà prevedibilmente messa in pericolo dalla follia di Kung e altrettanto prevedibilmente ne uscirà vincitrice), e quella, più tormentata, tra Hung e Brooke, con la ragazza (innamorata) dapprima respinta da Hung, poi a lui opposta in un lungo combattimento, e infine di nuovo insieme al giovane in una disperata fuga.
Le scene di combattimento sono molto curate, e, pur senza raggiungere le punte di estremismo visivo e di sfida alle leggi di gravità che possiamo ritrovare in altri film del genere, si lasciano ben guardare e potranno sicuramente essere fonte di stupore e meraviglia per lo spettatore occidentale che non conosca il genere: l'uso dei wire-work (cavi metallici che permettono agli attori di librarsi nell'aria) è costantemente presente ma mai invadente, e ben contribuisce a restituire il senso di leggerezza che da sempre si mescola alla fisicità dell'azione in questo tipo di film. L'ottimo montaggio e la regia sicura di Lam fanno il resto.
Quello che manca al film è forse una sceneggiatura più incisiva, che possa dare un reale spessore ai personaggi e ai tanti temi solo accennati nella storia. Nonostante il film scorra tranquillamente, non si riesce mai ad appassionarsi realmente alle vicende dei personaggi, che malgrado le buone intenzioni restano poco più che macchiette; non ci sono grossi colpi di scena e tutto va più o meno come ci si aspetta; a ciò si unisce qualche "buco" nella trama, piuttosto frequente in questo tipo di pellicole ma che si poteva sicuramente evitare.
In definitiva, un discreto esempio di quella che è stata, fino a pochi anni fa, una delle cinematografie più fiorenti del mondo, fucina di autori e di idee al servizio dell'intrattenimento: la speranza è che la distribuzione (per quanto limitata e poco curata) di questa e poche altre pellicole prodotte laggiù, possa essere d'esempio per i distributori nostrani per far volgere finalmente il loro sguardo a oriente (che non significa solo Hong Kong): perché tante opere importanti che restano tuttora scandalosamente sconosciute dalle nostre parti, possano finalmente avere la visibilità che meritano.

Movieplayer.it

3.0/5