Recensione The Woodsman and the Rain (2011)

Una riuscita commedia dal tono agrodolce, in cui troviamo in primo piano temi come il rapporto padre/figlio, l'elaborazione del lutto e soprattutto la magia (anche terapeutica) del cinema. Un ottimo equilibrio tra l'umorismo lieve e surreale che caratterizza molte sequenze, e l'estrema pregnanza dei temi affrontati.

Un'invasione benefica

Katsuhiko è un taglialegna vedovo, la cui vita scorre, sempre uguale a se stessa, tra il suo lavoro nei boschi e il rapporto con un figlio apatico e scansafatiche, che l'uomo fa fatica a capire. A turbare la monotonia della vita di Katsuhiko arriva un giorno una troupe cinematografica, che deve girare una pellicola di serie B, un filmaccio di zombie, proprio nei boschi dove l'uomo lavora. Inizialmente infastidito dalle continue richieste di supporto del nervoso assistente alla regia, l'uomo attende con impazienza il giorno in cui la troupe leverà le tende, restituendogli la sua tranquillità; ma quando, a causa dell'assenza di personale, Katsuhiko finisce per farsi convincere ad interpretare una piccola parte nel film, quella di un improbabile morto vivente, qualcosa in lui scatta. La magia del cinema, e del rivedersi sullo schermo, finisce inaspettatamente per coinvolgere l'uomo, ma soprattutto per fargli stabilire un rapporto sempre più profondo e sincero col giovanissimo regista: un ragazzo timido e impacciato, quasi paralizzato dalla paura di sbagliare, che ha lo stesso nome e quasi la stessa età di suo figlio.

Dopo i consensi riscossi dal cinese Sound of Silence, è un altro esordio a conquistare la platea del Far East Film Festival di Udine, seppur caratterizzato da toni ed estetica completamente diversi da quelli del film di Chen Zuo. The Woodsman and The Rain, prima regia del giapponese Shuichi Okita, è infatti una commedia dal tono agrodolce, in cui troviamo in primo piano temi come il rapporto padre/figlio, l'elaborazione del lutto e soprattutto la magia (anche terapeutica) del cinema. E' proprio l'arrivo della troupe cinematografica nel microcosmo immobile della comunità montana a innescare un processo di cambiamento che coinvolgerà dapprima lo scorbutico protagonista (interpretato da un sempre bravissimo Koji Yakusho) e in seguito l'intero paese, fino a infondere finalmente fiducia in se stesso, e nei propri mezzi, anche nel giovane regista. L'umorismo surreale, ricco di gag capaci di strappare risate sincere e convinte (impagabile quella del protagonista che veste, con risultati esilaranti, i panni dello zombie) si scioglie in momenti lirici e spesso toccanti, tra cui ricordiamo quello della visione del girato giornaliero, in cui il taglialegna resta ipnotizzato di fronte al potere delle immagini proiettate, che finalmente fanno scattare in lui il meccanismo che darà il via al suo benefico cambiamento.
Più in generale, è riuscitissima nel film di Okita la descrizione della comunità di montagna, salda nelle sue tradizioni e caratterizzata da un immobilismo di fatto, a cui la presenza della troupe dà una benefica "scossa"; coinvolgendola nella realizzazione di qualcosa che diventa nei fatti un'impresa collettiva. Gli stessi doveri sociali del protagonista, tra i quali c'è in primo piano quello di onorare la moglie defunta (di cui ricorre, durante le riprese, l'anniversario della scomparsa) sembrano collidere con la realtà di un paese ormai votato anima e corpo alla realizzazione della pellicola; i parenti giunti dalla città non sembrano comprendere la scossa vitale che la presenza della troupe ha infuso in Katsuhiko e in tutti gli abitanti del villaggio, visti ormai come una sorta di "alieni" che si aggirano per le strade del paese con il volto truccato.
Ma soprattutto, è la bella descrizione del rapporto tra Katsuhiko e il regista a convincere, un rapporto che darà frutti vitali per entrambi: per il ragazzo, che grazie al supporto del protagonista riuscirà a superare le sue paure, ritrovando l'entusiasmo per il suo lavoro e facendosi rispettare anche da un anziano divo giunto appositamente dalla città; e per l'uomo, che in quel giovane impacciato rivede il suo stesso figlio, e che grazie a lui si rende conto della necessità di ritrovare un rapporto con quest'ultimo. Rapporto infine rinnovato, che viene ben rappresentato in una esplicita sequenza, toccante nella sua semplicità.

Più in generale, The Woodsman and The Rain raggiunge un ottimo equilibrio tra l'umorismo lieve e surreale che caratterizza molte sequenze, e l'estrema pregnanza dei temi affrontati: merito di una sceneggiatura ben strutturata, con personaggi a cui è facile affezionarsi nonostante la loro descrizione spesso sopra le righe, e di una messa in scena efficacissima nella sua semplicità, che sfrutta al meglio il fascino delle scenografie naturali in cui la storia è immersa. Un altro esordio da promuovere a pieni voti, quindi, da parte di un regista che sicuramente saprà dire molto nell'immediato futuro.

Movieplayer.it

4.0/5