Recensione Nativity (2006)

Un film su cui aleggia una piattezza da TV movie della vigilia di Natale, una convenzionalità di forma e contenuto che annoia e irrita, lasciando il vuoto laddove ci si proponeva, teoricamente, di riempire di contenuto una vicenda universalmente nota.

Un'inutile parabola religiosa

Nel tradizionale panorama delle uscite pre-natalizie, fa bella (si fa per dire) mostra di sé questo Nativity, polpettone storico-biblico diretto da quella Catherine Hardwicke che tante discussioni provocò con il suo Thirteen - tredici anni. Già molto chiacchierato, al di là dell'inevitabile presa del soggetto su vasti strati di pubblico, per il fatto di aver avuto (primo caso nella storia del cinema) una premiere ufficiale in Vaticano, il film mostra il viaggio dei due giovani Maria e Giuseppe da Nazareth a Betlemme, dopo l'inizio della gravidanza della donna preannunciata dall'Arcangelo Gabriele. Prima, durante e dopo, tutti gli elementi accessori di una storia narrata (cinematograficamente e non) innumerevoli volte: l'annuncio della prossima nascita di Giovanni Battista dall'anziana Elisabetta, zia di Maria, l'ostilità degli abitanti di Nazareth verso la ragazza per la sua gravidanza, la partenza dei Magi, la strage degli innocenti ordinata da Re Erode, la nascità del Salvatore nel più umile dei luoghi.

Lo sceneggiatore Mike Rich ha affermato che l'istanza che lo ha portato a scrivere questa storia è stata la necessità di narrare, nei dettagli, una vicenda che la grande maggioranza delle persone conosce solo per grandi linee. Esigenza legittima: se è innegabile che la Natività l'abbiamo vista al cinema più di una volta, è pur vero che il viaggio dei futuri genitori di Gesù verso Betlemme, la dimensione più "umana" del loro rapporto e le loro aspettative verso un figlio che intuiscono rappresentare qualcosa di enormemente più grande, sono aspetti effettivamente poco esplorati e meritevoli di approfondimento. Riesce dunque in quest'intento, il film della Hardwicke? La risposta, purtroppo, è un categorico no. La scrittura è scolastica, e fallisce proprio laddove si proponeva di dare uno spessore a tutto tondo a dei personaggi visti il più delle volte come mere icone. Manca proprio la capacità di approfondire il rapporto con il divino, entrato di prepotenza nelle vite dei protagonisti, manca il necessario sentore del peso delle loro azioni, manca anche una definizione sufficiente del contesto politico dell'epoca. In fondo, nonostante i propositi di Rich, terminato il film sappiamo della vicenda più o meno quanto ne sapevamo all'inizio, e quel poco in più finisce per banalizzare la storia anziché arricchirla.

Non va meglio la regia della Hardwicke, sospesa tra l'inutile pomposità di alcune scene e il didascalismo stucchevole di altre, che arriva a sfiorare il ridicolo nelle "apparizioni" dell'Arcangelo e in altri momenti (vedi il confronto tra Maria e sua zia, entrambe incinte) involontariamente comici. Su tutto aleggia una piattezza da TV movie della vigilia di Natale, una convenzionalità di forma e contenuto che annoia e irrita, lasciando il vuoto laddove ci si proponeva, teoricamente, di riempire di contenuto una vicenda universalmente nota. Viene quasi voglia di rivalutare la Passione di Mel Gibson: quella, almeno, aveva nella "pornografia" delle immagini una sua seppur discutibile ragione di esistere. Qui, proprio, non si capisce quale sia l'istanza che tenga in vita il film, che ne giustifichi l'esistenza: ovvero, se il proponimento iniziale era davvero quello espresso dallo sceneggiatore ("restituire vita" a una vicenda che nel corso dei secoli ha finito per perderla), bisogna dire che il fallimento è totale e inequivocabile.

Movieplayer.it

1.0/5