Un incubo rinnovato, ma reso inoffensivo
Tra i tanti remake dei cult horror anni '70 e '80 che hanno invaso i nostri schermi nelle ultime stagioni, questo dell'originale Nightmare - Dal profondo della notte era probabilmente il più atteso. Difficile, infatti, pensare a un mostro che abbia segnato l'immaginario horror degli ultimi decenni più del Freddy Krueger creato da Wes Craven nel lontano 1984, praticamente impossibile trovarne uno che avesse la stessa portata teorica e politica, che fosse ugualmente in grado di rappresentare il rovescio delle pulsioni adolescenziali e la cattiva coscienza del tessuto sociale americano, il male creato dalle generazioni passate che torna a tormentare quelle presenti. Un film che fu origine di un franchise infinito che aveva progressivamente snaturato il personaggio, con un Robert Englund costretto a interpretarlo più e più volte, con sempre minore convinzione e la consapevolezza di partecipare alla sue inevitabile riduzione a icona serializzata e innocua. Questo reboot, arrivato dopo quelli analoghi di Non aprite quella porta, Halloween: The Beginning e Venerdì 13, voleva innanzitutto restituire il personaggio alla sua dimensione originaria di moderno babau, azzerarne le derive più umoristiche e iconiche e farlo tornare emblema del male, tanto più spaventoso quanto più riconoscibile come prodotto della società contemporanea, da essa al tempo stesso creato e temuto. Va detto che un intento del genere era già stato quello dello stesso Craven nel suo sottovalutato Nightmare Nuovo incubo, ma qui l'azzeramento è totale, Krueger torna in un altro decennio (segnato dai cellulari e dall'uso di Internet), per un'altra generazione di spettatori e soprattutto in un altro cinema; con un altro interprete, inoltre, sulla carta perfetto per raccogliere un'eredità importante quanto scomoda come quella di Englund.


Si è già accennato alla regia, che colpisce soprattutto per la sua piattezza: Bayer, esordiente proveniente dal videoclip, leviga le immagini e le rende inutilmente patinate, azzera completamente il potenziale orrorifico del soggetto e rende fin troppo visibili i passaggi tra la realtà e il sogno, con cambi di tonalità nella fotografia che annullano anche un altro elemento tipico della saga, la confusione tra i due piani narrativi. Mancando di mordente e di una qualsiasi capacità di creare paura, la sua regia si fa ricordare così soprattutto per le citazioni letterali del film originale, con scene da quest'ultimo riprese tali e quali (il guanto di Freddy che esce dalla vasca da bagno, il corpo della prima ragazza uccisa racchiuso in un sacco). Poco, decisamente troppo poco, per giustificare la visione di questo film da parte di uno spettatore di vecchia data, che più che gratuite strizzate d'occhio avrebbe gradito una genuina, vera rilettura del personaggio. Nonostante tutto, il successo di pubblico non sembra essere mancato, segno forse che le nuove generazioni di spettatori hanno coordinate estetiche, e soprattutto un modo di intendere la paura cinematografica, abbastanza diversi da quelli che avevano caratterizzato le generazioni precedenti. E gli immancabili sequel (più di uno, a quanto pare, con la possibile novità del 3D) sicuramente non si faranno attendere.
Movieplayer.it
2.0/5