Un figlio, recensione: Un padre, una madre e i limiti della modernità

La recensione di Un figlio, dramma familiare sulla genitorialità e sulle contraddizioni della società islamica divisa tra moderne spinte progressiste e radicalismi.

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Un figlio: una foto del film

Un film politico, un dramma familiare, ma anche la storia di un matrimonio in crisi. L'esordio alla regia di Mehdi M. Barsaoui si sviluppa coraggiosamente su diversi binari, e se da un lato l'obiettivo è affrontare alcune questioni sociali (come leggerete meglio in questa recensione di Un figlio) nella comunità islamica moderna, dall'altro è invece un'occasione per esplorare il concetto di paternità, di coppia e di cosa significhi essere donna e madre in una società tradizionalmente patriarcale. Dopo essersi portato a casa i premi per la miglior interpretazione maschile a Sami Bouajila nella sezione Orizzonti della 76° Mostra d'Arte Internazionale del Cinema di Venezia e ai Cesar, Un figlio arriva ora in sala dal 21 aprile.

Il melodramma familiare

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Un figlio: una scena del film

Barsaoui costruisce un film rigoroso, complice una regia sobria e priva di artifici. L'imperativo è stato quello di rimanere fedele al reale, niente orpelli perché a parlare sono fatti e personaggi fissati sulla carta, scritti, limati e definiti nel corso di un lavoro di scrittura durato cinque anni. I protagonisti assoluti di Un figlio, sempre in campo, seguiti da vicino dalla telecamera che gli sta addosso sin dalla prima inquadratura sono Fares (Sami Bouajila) e Meriem (Najla ben Abdallah), una coppia abbiente, con una buona posizione sociale e un'educazione Occidentale, progressista come gli amici che raggiungono insieme al figlio di dieci anni Aziz, per una gita fuori porta nel Sud del paese, a Tataouine in Tunisia. Sorseggiano birra, fanno battute, fumano, ironizzano sulla possibile ascesa delle frange più integraliste, le donne sono professioniste affermate.

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Un figlio: un'immagine del film

Fares è un uomo d'affari, Meriem ha appena ricevuto una promozione; entrambi, si intuisce, hanno trascorso un periodo all'estero, in Francia, poi hanno deciso di rientrare. Sullo sfondo si agitano le rivolte della primavera araba: lo ricordano le immagini dei notiziari trasmessi dalla tv, o le scorribande di qualche manipolo di ribelli per le strade polverose delle città che il film attraversa. Il presidente Ben Alì è appena caduto, dal confine libico arrivano i primi segnali che qualche settimana più tardi porteranno alla disfatta di Gheddafi. Sulla strada del ritorno la vacanza famigliare si trasforma in tragedia: la loro auto finisce nell'imboscata di un gruppo armato e a pagare il prezzo più alto è Aziz, colpito al fegato durante la sparatoria. Traferito d'urgenza nell'ospedale di Tunisi, rimarrà per giorni sospeso tra la vita e la morte, solo un trapianto potrebbe salvarlo. Ma quei giorni serviranno a rispolverare un segreto a lungo taciuto, un adulterio sepolto nel non detto di Fares e Meriem.

Tra intimismo e denuncia sociale

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Un figlio: una sequenza del film

L'incidente diventa il pretesto per mostrare i limiti del concetto di modernità soprattutto in un paese guidato da precetti religiosi e insegnamenti morali di cui si ritrova a essere vittima anche la coppia di protagonisti, che agli occhi dello spettatore appare fino a quel momento moderna e alla pari. Gli sguardi accusatori, i corridoi grigi di un ospedale decadente, le pareti scalcinate, le donne con il burqa, le barelle che passano: tutto definisce un mondo attraversato da profonde contraddizioni, da un lato le spinte riformiste delle classi più benestanti dall'altro il radicalismo di una cultura profondamente patriarcale. "È questo quindi il tuo modo di essere moderno?" urlerà Meriem a Fares, facendo vacillare la sua identità di uomo moderno. Lo sguardo del regista scava nell'intimità del dolore, si adagia nella claustrofobia dell'attesa e porta alla luce i condizionamenti sociali che anche le menti più progressiste finiscono per subire con buona pace dell'emancipazione femminile.

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Un figlio: una scena

Non sempre la dimensione intima e quella politica si amalgamano alla perfezione, il film diventa invece più incisivo nelle scene di denuncia di una pratica diffusa come quella del traffico illegale di organi. È una narrazione fatta di ellissi, silenzi e sguardi: il volto silenzioso e rassegnato di lei, quello smarrito di lui, uomo mite che la disperazione ha trasformato nell'opposto del presunto progressismo che lo ha guidato fino a lì. La storia trova negli interpreti (Sami Bouajila e Najla Ben Abdallah)due preziosi alleati e sul loro muto scambio di sguardi decide di chiudersi, delegando allo spettatore il compito di decifrarli.

Conclusioni

La recensione di Un figlio si conclude con la consapevolezza di aver scoperto un nuovo autore: Mehdi M. Barsaoui ha il coraggio di osare con un film stratificato e forte di una sceneggiatura solida. Mette insieme la dimensione politico-sociale e quella del dramma familiare, non ci riesce alla perfezione ma sa tenere alta l’attenzione dello spettatore costruendo una dialettica tra il dentro (l’ospedale) e il fuori, tra il presunto progressismo della coppia protagonista e i condizionamenti sociali di un mondo allineato alle regole di una cultura patriarcale.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • Un dramma familiare rigoroso, costruito con precisione quasi geometrica sulla base di una sceneggiatura solida.
  • Una regia sobria e priva di artifici.
  • Uno sguardo realista sulle contraddizioni e i limiti del concetto di modernità in una società a vocazione patriarcale nella Tunisia contemporanea.

Cosa non va

  • La dimensione intima del dramma e quella politica non sempre si amalgamano alla perfezione.