Un cielo stellato sopra il Ghetto di Roma, il nuovo film di Giulio Base, già disponibile in streaming dal 27 gennaio su RaiPlay, arriva il 6 febbraio su Rai 1 alle 22.50. È un'occasione in più per vedere un film appassionato e pieno di energia, da non perdere perché la memoria deve rimanere sempre viva. Non bisogna mai smettere di ricordare cosa accadde durante l'Olocausto. Il film di Base si muove tra passato e presente: inizia il 16 ottobre 1943, il sabato nero degli ebrei di Roma, quando avvenne un terribile rastrellamento al Ghetto di Roma, per arrivare ai giorni nostri, quando un gruppo di studenti del liceo ritrova una foto di una bambina ebrea e la lettera dei suoi genitori, che risalgono a quei giorni, e decidono di capire se sia ancora viva e di provare a cercarla. È un modo interessante di parlare alle nuove generazioni, di avvicinare i ragazzi a una storia che devono assolutamente conoscere. "Parlando coi miei figli ho saputo che conoscevano la Shoah grazie ai libri di storia, ma anche grazie al cinema e a due capolavori. Schindler's List e La vita è bella" ci ha raccontato Giulio Base. "Per un periodo, con il cinema, quasi nessuno ha detto niente, perché c'era una altra attitudine, una voglia di rinascere. Poi ci sono stati quei due capolavori. I giovani hanno voglia di sapere. Ho visto una cosa che mi piace molto: sentono la memoria come dovere. Quello che è accaduto non è stato un terremoto, una pandemia. È stato colpa di qualcuno. A cui si risponde o con il perdono, o con la pena". "Il negazionismo è un altro dei motivi per cui abbiamo voglia di ricordare" aggiunge. "Pensiamo a quante persone, siti, libri continuano a negare. E questo non può succedere".
Israel Cesare Moscati, la forza delle idee
Perché non succeda più sono importanti anche film come Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma, che provano a raccontare l'Olocausto in una chiave nuova. Il film è nato da un'idea di Israel Cesare Moscati, sviluppato poi dopo un lungo laboratorio con i ragazzi dei licei, ed è stato realizzato con la collaborazione della comunità ebraica di Roma. "È un film fatto con grande amore" racconta Paolo Del Brocco, A.D. di Rai Cinema. "Israel Cesare Moscati non faceva questo mestiere e si è inventato autore perché aveva molto da raccontare. Ha trovato una chiave di racconto della Shoah molto attualizzata, ha fatto sempre parlare il presente, ha trovato una prospettiva inedita. Aveva fatto quattro documentari sul tema, e in uno aveva fatto parlare figli e nipoti degli ebrei con i figli e i nipoti dei nazisti. Questo è un film che ha voluto fortemente, ha provato a scrivere più volte". "L'approccio di Israel era poco ortodosso, non veniva da questo settore ma si è adattato presto" ricorda Sandro Bartolozzi, produttore del film. "Ha avuto un'intuizione: fare un laboratorio con dei ragazzi durante la scrittura della sceneggiatura, una volta a settimana, perché aveva bisogno di confrontarsi. Aveva una grande necessità di comunicare la Shoah attraverso i giovani". "Da lui ho imparato la forza delle idee" racconta il regista Giulio Base. "Aveva delle idee di cinema, delle intuizioni: come tutti quelli che vogliono fare la loro opera prima, avrebbe voluto mettere dentro tutto, la Shoah, la musica, lo sport, il confronto tra ebrei e cristiani. Sono stato la persona che lo ha frequentato di più negli ultimi mesi di vita. Non c'è mai stata una telefonata che non abbia iniziato o chiuso con la chiosa: ringraziando Dio".
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Giulio Base: formato da Cahiers du cinéma, Nouvelle Vague e Pontecorvo
Per comunicare la Shoah attraverso i giovani, Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma mescola due linguaggi. Uno, più contemporaneo e televisivo, a colori, per le scene girate ai giorni nostri. Un altro, in bianco e nero, che sa di un cinema che viene da altri tempi, per i flashback ambientati nel 1943. A stupire sono soprattutto i minuti iniziali, che lasciano senza fiato per la tensione dell'azione, ma anche per la bellezza delle immagini. "È stato difficile, una grande responsabilità di cui sentivo il peso" ci racconta Giulio Base. "Il racconto è moderno ma vai a narrare una cosa che non è mai stata mostrata in un film. Io rimango quel cinefilo e studente di cinema che è stato formato dai Cahiers du cinéma, dalla Nouvelle Vague e da Gillo Pontecorvo". "Per girare quei cinque minuti in cui raccontiamo quella giornata, abbiamo analizzato dozzine di volumi, e abbiamo cercato i fare una sintesi. Abbiamo mostrato le valige, i bambini, i cani lupo, i nazisti. Si sentono le raffiche di mitra: i nazisti avevano sparato tutta la notte in modo da terrorizzare le persone, farle chiudere in casa e poi fare razzia. Non abbiamo voluto spettacolarizzare gli eventi, ma fare del cinema". È un cinema che allo stesso tempo sa di classico, per la fotografia in bianco e nero, ma anche un montaggio dinamico e moderno. "Amo il Godard di Band à part e À Bout de souffle, quel bianco e nero. Negli anni sessanta ho ammirato Kapò di Pontecorvo e L'oro di Roma di Lizzani. E poi non puoi non vedere Schindler's List, La vita è bella, Train de vie - Un treno per vivere. E tantissimi documentari" racconta Base. "In quei cinque minuti c'è un montaggio frenetico. Ma quel momento non è un vero flashback, è un ricordo della nostra protagonista: non sto raccontando in maniera oggettiva, ma attraverso i flash della sua mente. Tanto è vero che ho consigliato al direttore della fotografia e alla postproduzione una nebbia che piano piano si dipani. Immagini nebbiose, scure poi sempre più nitide. Quando dal passato si torna ad oggi tornano anche i colori, ed è come se lei finalmente mettesse tutto a fuoco. Abbiamo voluto girarlo come un incubo, con una sensazione di agitazione, per farlo diventare poi quasi nitido".
Giulio Base: nessuno ha avuto la fortuna di girare così tanto nel Ghetto
Il film è stato girato nei veri luoghi dove avviene la storia, al Ghetto di Roma, davanti al Portico di Ottavia, alla Sinagoga e al Liceo Renzo Levi, e questo porta sensazioni forti al film. "Nessuno ha avuto la fortuna di girare così tanto tempo nel Ghetto, nella Sinagoga, nel liceo Levi" afferma grato Base. "Nessuno prima aveva avuto la possibilità di girare nei locali del bagno purificatore della scena finale. E anche il convento sull'Aventino dove abbiamo girato è quello vero". L'incontro tra i liceali protagonisti del film e quelli del liceo ebraico che li aiutano nella loro ricerca finisce allora per essere un dialogo tra le religioni. "È stato il fulcro di ore e ore di conversazione che ho avuto con il rabbino" ci racconta Base. "In quell' assemblea in cui i ragazzi parlano di cosa vuol dire essere ebreo, ogni parola è stata studiata, soppesata, riscritta. Quando le ragazze vogliono entrare in Sinagoga e i ragazzi dicono che le devono controllare siamo stati delicati, perché altrimenti sembrerebbe il comportamento di una polizia di frontiera". Ma in queste scene, che raccontano una chiusura e poi un'apertura, c'è una voglia, nella comunità ebraica, di non sentirsi più una comunità separata, ma un'unica grande comunità del genere umano. "Il film racconta proprio questo, la volontà di abbattere dei muri" riflette Giulio Base. "La più antica comunità ebraica d'Europa è quella di Roma e trovo che sia un giusto proteggersi, cosi come ci proteggiamo tutti. Ma, girando questo film, siamo stati accolti benissimo, si sono aperte porte e sono nate amicizie che rimangono tuttora. Siamo romani e italiani, non siamo cristiani o ebrei. Siamo parte della stessa scintilla umana".